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L'identità come funzione di confine

Aggiornamento: 21 giu 2020

Premessa


Chi studia discipline aziendali sa che l'identità è un tema centrale nelle proprie discipline. Senza identità, infatti, non esisterebbero le organizzazioni. Più in generale, per la verità, il concetto di identità è parte essenziale della nostra esistenza. Nel Dizionario si ritrovano diverse definizioni che spaziano dall'ambito amministrativo (i dati anagrafici che consentono l'identificazione di una persona, per esempio), a quello psicoanalitico (che fa riferimento invece, per esempio, al senso e la consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo).


Nella sostanza il concetto di identità è strettamente legato a quello di confine. Senza confine non c'è identità e l'identità è utile per evitare che un sistema (biologico, sociale, organizzativo) sia confondibile con altri. Emerge quindi che tutta la nostra vita si dispiega intorno a questo concetto di confine, alle funzioni che gli attribuiamo e al modo con cui lo gestiamo. Alcuni confini appartengono allo stato di natura: un fiume che separa due terre (ma che pure le collega), una catena montuosa che separa due territori (ma che pure li unisce), ecc.


Altri confini appartengono invece alla produzione del nostro cervello: siamo noi con le nostre convinzioni, le nostre conoscenze, le nostre elaborazioni che li produciamo. Appartengono a queste tipologie i concetti di Stato, di Nazione, di città, di ideologia, di discipline scientifiche, di impresa, di identità individuale e collettiva, ecc.


Le funzioni del confine

Tutti noi nel pronunciare questo termine pensiamo a qualcosa che delimita qualcos’altro, che separa due entità: un muro, una recinzione, un corso di un fiume, un nome e un cognome, una teoria, un brand, ecc. Ma proviamo a ragionare in termini di funzioni svolte dal confine.


La prima funzione è la più chiara ed evidente, quella di distinguere. Senza confini non possiamo distinguere una qualsiasi entità da qualunque altra, il che implica che senza identità non saremmo in grado di riconsocerci reciprocamente. Esso pertanto ha la fondamentale funzione di orientamento, senza confini saremmo persi. Sarebbe come se ci trovassimo all'interno di un banco di nebbia in cui la visibilità è talmente scarsa da rendere difficile se non impossibile qualsiasi movimento.


Chi, in base a quanto ora indicato, potrebbe negare pertanto l'utilità del confine?

Penso nessuno.


Purtroppo, in virtù di tale funzione c'è chi esaspera il concetto ritenendo questo confine un elemento di conflitto di per sè (bianchi e neri, cristiani e musulmani, giovani e anziani, donne e uomini, nord e sud, palestinesi e israeliani, accademici e non accademici, ecc.), un elemento in base al quale c'è chi arriva al punto di scatenare odio e guerre.


Ma c'è un'altra funzione fondamentale del confine che merita di essere sottolineata perché invece è quella funzione che permette di ridurre la portata e la dimensione dei problemi richiamati poc'anzi. Si tratta della funzione di congiunzione, di collegamento, quella funzione cioè in base alla quale due entità (quindi due distinte identità), proprio grazie al confine, entrano in relazione. L’interpretazione del confine come luogo di congiunzione lo rende “il luogo epistemologicamente privilegiato” perché porta con sé la possibilità di incontro tra distinte identità che tali restano ma che si incontrano.


In questa prospettiva, il confine si configura come una funzione che si esercita con il dialogo, basato sull'ascolto delle altrui ragioni, con la condivisione reciproca di informazioni e conoscenze, con la voglia di comprendere le posizioni altrui. La non conoscenza, il rifiuto del confine come funzione di collegamento, invece, diventa elemento di diffidenza prima, di incomprensioni poi che spesso sfociano nello scontro, inutile e dannoso, sempre.

Essere uomini e donne di confine, implica, nella prospettiva indicata, non già una conversione delle posizioni dell’uno a quelle di un altro ma semplicemente operare per comprendersi prima e, se possibile, costruire ed evolvere verso un contesto di convivenza comune, pacifico e di reciproca prosperità.


C'è infine una terza funzione svolta dal confine, quella in base alla quale si operano le "selezioni": la identità di un individuo, cioè l’insieme dei valori, delle opinioni, delle credenze che guidano i comportamenti di un soggetto rappresentano la “griglia” utilizzata per “setacciare” gli altrui comportamenti, le altrui opinioni, ecc. E' in base a questa funzione che noi assumiamo delle decisioni riguardo tanti aspetti della nostra vita sociale, dai criteri utilizzati per scegliere il/la nostra/o partner, gli studi e il lavoro in cui ci sentiamo più portati, le organizzazioni politiche cui afferire o dalle quali prendere le distanze, ecc..


Alcune implicazioni dell’uso del concetto di confine


Comprendere a fondo il tema del confine è per me oggi fondamentale e prioritario in molti campi delle relazioni umane e sociali. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare ne sottolineo uno che è di grande attualità e che vede sempre più spesso prese di posizioni basate più su atteggiamenti “emotivi e irrazionali” piuttosto che tenendo conto di fatti e dati.


Mi riferisco ai concetti di Nazione e Stato che in Italia e in Sardegna dividono molte persone, soprattutto per le implicazioni che scaturiscono dal significato attribuito a questi termini.

Le conoscenze fin qui acquisite mi portano, in quanto persona che vive a Cagliari, in Sardegna, a tracciare il confine della Nazione a livello di Sardegna, mentre il confine dello Stato in cui la Nazione Sarda è inserita è l'Italia. Per me questo è un dato oggettivo se considero la storia che ha caratterizzato questa Isola al centro del Mediterraneo.

Ora, ammesso che ci sia condivisione su questi due confini, ciò che è importante sottolineare è che essi non mi impediscono di riconoscerne altri: io sono cagliaritano ma anche europeo, euromediterraneo e cittadino del mondo, oltre che di nazionalità sarda con la doppia cittadinanza, italiana ed europea.



Questa appartenenza multipla non è in conflitto con se stessa, non nega alcunchè, nè impedisce di intrattenere buone relazioni con altre nazionalità (nello specifico, compresa quella italiana sia ben chiaro) caso mai, nell’ottica del confine come luogo di congiunzione, è una forma di arricchimento, di incontro tra diversità che possono contaminarsi, crescere ed evolvere per mutare in qualcosa di migliore.


Il discorso appare fluido e senza intoppi eppure, intorno a questo concetto, sorge uno dei problemi più grandi in cui ci stiamo trovando: quello di chi pretende di negare alcuni di questi confini. Lo negano quelli che "riconoscendosi" solo italiani affermano che non esiste la Nazione sarda, lo negano quei sardi che non vogliono riconoscere l'esistenza di uno Stato italiano (a prescindere dal come storicamente questa presenza esiste che pure è un aspetto importante), ecc.


A partire da questi concetti ecco che poi si costruiscono i nemici, alcuni veri, altri falsi, creati ad arte. Io non voglio convincere nessuno che esiste la Nazione sarda, ma mi permetto di proporre un metodo di ragionamento che mi porta ad affermarne l'esistenza e siccome, per quello che ho letto e studiato, ho preso coscienza che questo livello di confine è stato nei secoli negato e si è fatto di tutto per cancellarlo – soprattutto a partire da quando la Sardegna venne regalata con il Trattato di Londra del 1718 ai duchi del Piemonte – ecco che io insisto su questa dimensione così che ci sia dal basso una presa di consapevolezza del fenomeno.


A questo proposito, per dire come se si vuole i confini possono essere correttamente rispettati, si prenda ad esempio la Confederazione elvetica concepita, fin dall’inizio, per rispettare le diversità presenti in quei territori, permettendo in questo modo una declinazione plurale della cultura amministrativa e di governo di quello Stato, mentre l'Italia ha scelto, deliberatamente, di annientare queste differenze, imponendo la lingua e lo studio della storia della sola Nazione italiana e non favorendo, come invece avrebbe potuto e dovuto, quelle di tutte le Nazioni che abitano lo stato italiano (Friulani, Ladini, Sardi, ecc.).


Rispettare i confini allenandosi nella pratica quotidiana


Se quanto finora asserito ha una sua logica, qualsiasi iniziativa volta a rispettare l’esercizio consapevole dei confini, ha un suo valore in sé. Nello specifico della mia Nazione sarda, tutte le iniziative volte a far recuperare l'uso e lo studio della lingua sarda, della storia della Sardegna, ma anche della geografia, dei toponimi, dei nomi antichi delle strade, hanno la funzione di dare senso e significato a quel concetto di Nazione che, a partire dalla dominazione sabauda in avanti, si è voluto deliberatamente cancellare. In questo modo si può prendere coscienza dei luoghi che abitiamo, indipendentemente dal fatto di esserci nati.



Vi chiederete per quale ragione?


1) Per una ragione culturale, perché il passato non si cancella, non va cancellato. Ebbene, è cosa buona e giusta, se questo è vero, che laddove ci si renda conto di operazioni distruttive (per inconsapevolezza o deliberata volontà prevaricatrice) ci si adoperi per recuperarlo come insieme di pratiche umane che sono poi quelle che permettono ad un popolo di poter sopravvivere nel tempo. In questo la lingua è il primo e fondamentale valore da recuperare come pratica e come disciplina di insegnamento: lo scrittore Cicitu Masala diceva che se a un popolo togli la lingua esso scomparirà. Ebbene, chiedo: vogliamo che i Sardi come popolo scompaia, atrofizzandosi e annientandosi fino a diventare altro? Oppure si può evolvere, contaminandosi con altri ma conservando le proprie radici?


2) per una ragione politica, perchè trovare elementi intorno ai quali riconoscersi forse potrebbe generare quella spinta al cambiamento di cui abbiamo tanto bisogno, quella spinta alla responsabilizzazione che invece ci viene accusata come deficitaria, quella voglia cioè di non aspettare che siano altri a toglierci le castagne dal fuoco.


3) per una ragione economica, perché tante iniziative imprenditoriali e legate all’educazione possono sorgere investendo sui nostri fattori unici di competitività quali sono quelli declinabili a partire dalla identità (linguistica, storico culturale, agricola, enogastronomica, urbanistico edilizia, ecc.).


Chiedo, tutto questo è sovversivo? Sicuramente lo è nei confronti di chi ha interesse a perpetuare sistemi di tipo clientelare basati sulla dipendenza e sul favore.

Tutto ciò cosa toglierebbe ad altri? Nulla se non a chi, ribadisco, intende i rapporti sociali in sola ottica gerarchica, sulla base di superiorità (di forza, militare, politica, ideologica, di ruolo, ecc.) per imporre agli altri la propria visione che, nel caso che riguarda i Sardi, attengono alle servitù militari, ai tanti “investimenti” industriali (sic) inquinanti provenienti dall’esterno, e all’ignoranza o alla malafede di tanti “indigeni” che per poche briciole hanno scelto e scelgono di abdicare a difensori di queste radici, che significa a difesa dell'ambiente, del paesaggio, della lingua, della cultura, delle tradizioni belle e positive, ecc..


Allora, per dirla tutta, passando alla traduzione comportamentale del concetto di identità e confine, i ciò implica, per esempio:


1) essere sardi non è un attributo che rende migliori o peggiori di altre identità. Utilizzare quindi la sardità come elemento avversativo di altre identità è un esercizio sciocco, sbagliato sul piano scientifico e, soprattutto, controproducente in termini di costruzione di proficue relazioni con altre identità.


2) essere sardi non è una condizione esclusiva rispetto ad altre identità. Io sono di nazionalità sarda ma non posso negare che la cittadinanza italiana e quella europea, il vivere e respirare cultura italiana e cultura europea, fanno si che abbia tratti di quelle identità che coesistono in me rendendomi quello che sono, nel bene e nel male.


3) chi usa in modo perverso il concetto di sardità produce danni all'intero popolo sardo.


4) negare la sardità come uno dei livelli della nostra identità è una forma di scarsa autostima e non trova riscontro né empiricamente, né concettualmente. Al contrario si può essere "sardi per scelta", come insegnano due grandi nati fuori da questa terra: il genovese Fabrizio De André e Gigi Riva da Leggiuno.

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