Cagliari Calcio, il marketing senza prodotto: quando il tifo diventa fede cieca
- giuseppe melis
- 5 giu
- Tempo di lettura: 2 min

Nel calcio di oggi si parla molto di marketing, brand identity, engagement, fidelizzazione. Si investe in campagne social, si disegna un nuovo logo, si promuovono slogan emozionali e si spera che lo stadio nuovo diventi simbolo di rinascita. Ma tutto questo, senza un “prodotto” coerente e competitivo, rischia di essere fumo negli occhi. Il caso del Cagliari Calcio, dopo l’ennesima stagione sofferta e priva di visione, lo dimostra con chiarezza.
Un’identità in crisi
Il Cagliari è molto più di una squadra: è un patrimonio identitario, culturale e affettivo di un intero popolo. Rappresenta la Sardegna in un campionato che, per logistica e potere economico, la esclude spesso dai tavoli che contano. Ma l’identità non basta se non viene alimentata da scelte strategiche coerenti e trasparenti. Non si può chiedere ai tifosi di “crederci sempre” quando ciò che si propone in campo è confuso, contraddittorio, frutto di improvvisazione o di logiche non dichiarate.
Il prodotto principale è il campo
Ogni società calcistica ha un prodotto principale: la squadra e il suo gioco. È quello che i tifosi comprano, a prescindere dal biglietto. È ciò che tiene vivo il senso di appartenenza. Eppure, nel caso del Cagliari, la costruzione della rosa, la gestione degli allenatori, le scelte tecniche e l’assenza di una visione progettuale sono apparse spesso slegate da qualsiasi disegno coerente.
Cambiare allenatori a stagione in corso, puntare su profili discutibili o inadatti, affidarsi a giocatori fuori condizione o in prestito, non equivale a costruire un progetto. È piuttosto il contrario: è marketing senza strategia, è comunicazione senza contenuto.
Il paradosso del tifo: tra passione e dipendenza
La tifoseria cagliaritana è tra le più fedeli d’Italia. Ma anche la fedeltà ha un limite: quando il rapporto diventa unidirezionale, e la società pretende amore incondizionato senza restituire visione, trasparenza, partecipazione, allora si rompe qualcosa. Il tifo non è servilismo, e la passione non è stupidità.
In una logica di brand management, ciò che il Cagliari Calcio sembra non comprendere è che la reputazione si costruisce sul lungo periodo con coerenza tra promessa e prestazione. Un nuovo stadio può essere un’icona, ma non può nascondere il vuoto progettuale. I video motivazionali, le maglie celebrative, gli sponsor locali: tutto utile, certo. Ma se il contenuto è debole, il contenitore non regge.
Verso un modello nuovo
Il calcio moderno è anche impresa. E come ogni impresa, ha bisogno di governance, accountability, trasparenza. Serve un piano industriale sportivo che metta al centro la filiera del talento (giovani, scouting, staff tecnici), una cultura manageriale degna di una società professionistica e una visione di medio-lungo periodo. Senza tutto questo, non si cresce, non si innova, non si coinvolgono stakeholder veri (non solo sponsor e politici).
Conclusione: pretendere è un atto d’amore
Criticare il Cagliari Calcio non significa essere contro. Significa non voler abdicare al diritto-dovere di pretendere il meglio da ciò che si ama. I tifosi non sono clienti passivi, ma comunità attive. Chiedere rispetto, competenza, visione non è tradire la squadra: è onorarla. Il vero atto di fede, oggi, è non accontentarsi delle parole, ma chiedere fatti. Non per orgoglio, ma per dignità.
Fortza Casteddu!
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