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Difesa europea o colonia atlantica?


Premessa: c'è un solo modo per costruire una pace vera: il diritto

Chiunque ragioni con lucidità sa che la pace vera si fonda sul diritto, non sull’equilibrio del terrore, come invece, purtroppo, vediamo accadere negli ultimi anni. Credere che l’aumento degli armamenti sia la via per la sicurezza è un tragico autoinganno, perpetrato da governanti senza cervello o assatanati da potere e da mire espansionistiche: oggi l’umanità dispone di arsenali militari tali da poter distruggere il pianeta più volte. Non servono per garantire ordine pubblico o pace tra i popoli: servono per esercitare potere, per intimidire, per opprimere.


Io non credo in questo modello e, soprattutto, non lo voglio. Ritengo, invece, che si debba procedere ad una smilitarizzazione progressiva degli Stati, alla riduzione delle spese militari e alla costruzione di strumenti civili, giuridici e democratici per la risoluzione dei conflitti. È su questo terreno che deve innestarsi qualsiasi discussione sulla difesa europea.


Le dichiarazioni della premier italiana Meloni

In un intervento in Parlamento di qualche giorno fa (https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2025/06/24/meloni-una-difesa-ue-parallela-alla-nato-sarebbe-un-errore_c24ecbea-cea0-44cf-a083-ff0a3044a777.html), la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito la sua contrarietà a una difesa europea autonoma, affermando:


“Il sistema di difesa occidentale è basato sulla NATO e non c'è un esercito NATO, ma eserciti nazionali che collaborano. [...] Io voglio una colonna europea della NATO, ma penso che sarebbe un errore una difesa europea parallela alla NATO: sarebbe una inutile duplicazione.”


Apparentemente una posizione pragmatica. In realtà, un’affermazione che svuota di senso qualsiasi ipotesi di sovranità europea e ribadisce una concezione subordinata dell’Unione: non soggetto autonomo, ma strumento funzionale all’egemonia statunitense. Altro che Europa potenza.


Né Europa degli Stati, né super-Stato: auspico l’Europa dei Popoli

Questa posizione della Meloni, tutt’altro che federalista, rispecchia una visione dell’Europa come mera cooperazione intergovernativa fra Stati sovrani, legati da interessi contingenti e pronti a ritirarsi alla prima difficoltà. Ma chi, come me, ritiene che si debba agire per costruire una Europa dei Popoli — e non in un superstato centralista — sa che il federalismo autentico è un progetto di emancipazione politica, fondato su:

  • Pluralismo culturale e identitario, dove le nazioni senza Stato (Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Corsica, Sardegna…) trovano legittimità e spazio politico.

  • Sussidiarietà, intesa come principio di equa distribuzione della sovranità fra livelli diversi: locale, regionale, nazionale ed europeo.

  • Solidarietà strategica, che consente la costruzione di una vera difesa comune senza rinunciare alla pluralità delle tradizioni democratiche dei popoli europei.


Un’Europa senza anima democratica?

Il nodo è che l’Unione Europea, oggi, non è una vera federazione. Le sue istituzioni mancano di una piena legittimazione democratica: le decisioni strategiche sono prese dal Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato e di governo, e non da un governo europeo scelto da un Parlamento dotato di pieni poteri. Questo alimenta la percezione — spesso fondata, ma certo semplificata — di un’Europa che complica ciò che dovrebbe essere semplice, che regolamenta senza empatia, e che decide “da lontano”.


In assenza di un potere federale autentico, gli Stati restano l’unico filtro attraverso cui leggere la realtà, diventando l’alfa e l’omega del dibattito pubblico. Ma è una visione distorta, perché ignora la natura sistemica e interdipendente dei problemi contemporanei, che non si fermano ai confini: basti pensare ai cambiamenti climatici, alle migrazioni, alla cybersicurezza, alla regolazione delle grandi piattaforme digitali, o alla stessa difesa comune.


Un’Europa dei Popoli dovrebbe invece riconoscere che i confini sono molteplici, non rigidi, e che devono essere pensati come porosi e attraversabili, non come steccati ideologici.


Una difesa europea è possibile, ma richiede coraggio politico

L’idea di una “colonna europea della NATO” è, nei fatti, una co-dipendenza mascherata: non è autonomia, è vassallaggio con il placet della superpotenza d’oltreoceano. Al contrario, costruire una difesa europea integrata, con mezzi propri, comandi propri e una visione geostrategica autonoma, significherebbe:

  • Liberarsi dalla tutela militare statunitense, oggi sempre più percepita come una forma di imperialismo "amichevole".

  • Evitare la frammentazione delle politiche estere, spesso contraddittorie e paralizzate dal diritto di veto degli Stati membri.

  • Rendere l’UE un attore geopolitico a tutti gli effetti, in grado di promuovere stabilità, pace e cooperazione anche nel proprio vicinato.


Conclusione: senza popoli non c'è Europa

Se l’Europa continuerà a definire la propria sicurezza in funzione degli interessi altrui, resterà un’appendice del blocco atlantico. Ma se vorrà diventare uno spazio politico a misura di popoli, culture e autonomie, allora dovrà ripensare radicalmente il proprio assetto istituzionale e strategico.


Una difesa europea autonoma è parte essenziale di questa trasformazione, così come lo è il riconoscimento della pluralità nazionale interna agli stessi Stati membri. Non è un’utopia: è un’urgenza. Perché solo un’Europa dei Popoli può ridare fiducia a cittadini che oggi si sentono esclusi da ogni orizzonte comune.

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