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Immagine del redattoregiuseppe melis

Appunti sparsi di un viaggio in tre belle città

Aggiornamento: 4 ago

Viaggiare è una delle attività più utili per la mente dell’essere umano, soprattutto se la si compie con l’interesse di osservare, capire, confrontare, imparare. Già, in fondo, viaggiare è un po’ studiare, anzi, più di un po’. È solo uno studio diverso da quello che normalmente, soprattutto nel “malato” contesto sardo-italiano, si pensa che significhi.



Tutto ciò, da un lato, mi arricchisce, dall’altro, soprattutto quando faccio il confronto con la realtà che vivo quotidianamente, mi intristisce.

 

Quest’anno ho visitato tre belle città: Bilbao, capitale della nazione Basca, Oviedo, capitale delle Asturie, Santiago di Compostela, capitale della Galizia. Nei trasferimenti dall’una all’altra città ho potuto ammirare, seppure dal bus, il paesaggio di queste tre nazioni prevalentemente montane, ricche di verde, con villaggi abbarbicati sui fianchi delle verdeggianti colline, spesso a picco sull’oceano Atlantico del Golfo di Biscaglia.

 



Cosa ho osservato

  • Tre diverse città, tutte ben organizzate e ben tenute, pulite, presidiate, vivaci;

  • Persone cortesi e accoglienti, sempre pronte a darti le giuste dritte in caso di necessità;

  • Orgoglio del proprio essere baschi, asturiani o galiziani;

  • Uso normale della propria lingua madre nella cartellonistica stradale, nei menù dei ristoranti, nelle applicazioni informatiche e ciò anche in virtù del fatto che lo stato spagnolo riconosce come lingue co-ufficiali, rispettivamente, il catalano, il basco (euskera), il galiziano (gallego, per molti versi più simile al sardo del castigliano), l’aranese (una variante dell’occitano) parlato nella Val d’Aran in Catalogna;

  • Che la compagnia di trasporto pubblico locale via gomma (ALSA) svolge un servizio di qualità elevatissima, rispetto, per esempio, all’ARST;

  • Che si mangia divinamente dappertutto e, per quanto mi riguarda, si trova un’offerta di piatti “gluten free” straordinaria e a prezzi normalissimi. Addirittura, è normale che i ristoranti siano attrezzati col pane senza glutine che, all’occorrenza, scaldano e presentano al cliente;

  • Che non ho mai visto una cacca di cane sui marciapiedi;

  • Che i marciapiedi sono belli larghi e che i centri storici sono a misura di pedoni e mezzi pubblici;

  • Che ogni intervento specifico è ben armonizzato con il resto del contesto urbano e che antico e moderno possono stare insieme;

  • Innumerevoli playground per bambini, rispettati e per nulla vandalizzati:

  • Uso della propria bandiera nazionale, delle maglie delle squadre sportive come abbigliamento quotidiano, ecc. come elementi di normalità.

 



Cosa ho capito

  • Che al di là delle chiacchiere queste popolazioni, generalmente parlando, non si limitano a declamare la propria appartenenza nazionale, non ne hanno bisogno, perché la vivono quotidianamente, è parte del loro modo di essere, la loro identità non è confusa o annacquata da germi statalisti spagnoli.



Il confronto

  • È impietoso con quello della terra in cui vivo dove se mi limito a considerare il rientro ho dovuto osservare che il bagno degli arrivi all'aeroporto aveva un sanitario con la tavola e il coperchio divelto, sporco tutto intorno, due rubinetti su tre non funzionanti, nessun detergente per le mani e nessuno dei tre asciugatori per le mani funzionanti.

  • È impietoso nel decoro urbano e nella pulizia delle strade: lì ho visto ogni giorno fior di personale addetto alle pulizie sia con le tradizionali ramazze che con adeguati mezzi che fanno si che difficilmente si possano vedere cumuli di immondezza.

  • È impietoso nel confronto tra cantieri per ammodernamento di infrastrutture e opere di vario tipo e il personale ben equipaggiato per rispettare le norme sulla sicurezza lavorava seriamente e con perizia, anche nella cura dei dettagli.

  • È impietoso nella ristorazione per celiaci dove da noi è una eccezione trovare strutture ben organizzate mentre nelle Asturie, addirittura, in un locale ci hanno testualmente detto che si considerano la “patria del sin gluten”;

  • È impietoso negli arredi urbani dove aiuole spartitraffico o marciapiedi o altri spazi sono arricchiti da decorazioni floreali o monumenti come quello della foto qui sotto che rappresentano personaggi del passato antico e più recente, compresi registi, scrittori, poeti, ecc..



Cosa ho imparato

  • che ho voglia di approfondire la conoscenza di quei luoghi da cui sono rimasto ammirato e per i quali provo un po' di sana invidia;

  • che il nostro problema di sardi, purtroppo e ancora una volta, è prima di tutto e soprattutto culturale, nel senso più ampio del termine. Le eccezioni che pure da noi ci sono, appunto, sono solo tali mentre prevale, purtroppo, rancore, egoismo, scarsa considerazione del bene pubblico come bene di tutti e quindi da rispettare e non vandalizzare.

  • che da noi manca sempre una visione sistemica delle questioni per cui i progetti sono pensati e, spesso, realizzati senza tenere conto delle implicazioni sul resto della città e degli altri servizi.



Per concludere

Ciò che considero più carente in Sardegna è la mancanza di quel senso di comunità che permetterebbe di mettere sempre e prioritariamente al primo posto l’interesse generale, il bene comune, la soluzione dei problemi strutturali della Sardegna. Manca quella capacità di pensare che risolvendo i problemi generali si risolvono anche molti di quelli propri. Invece, purtroppo, da noi prevale la logica contraria, soprattutto da parte di chi ha governato e governa: prima si risolvono i problemi personali, familiari, di gruppo di appartenenza, ecc., poi, se avanza, forse, si fa qualcosa per tutti. Che questo sia vero non è dimostrato dalla forza delle mie argomentazioni o dal ruolo che ricopro, ma dalla constatazione che ciascuno può fare rispetto al fatto che le cronache quotidiane ci “sbattono” pesantemente le conseguenze dell’inettitudine e della mala fede di tanti che hanno ricoperto ruoli di responsabilità politica e amministrativa.


Questo vuol dire altresì che se ci si vuole sollevare dalla condizione di disorganizzazione, di inadeguatezza, ecc. non occorre aspettare alcun Messia, occorre, invece, che tutti, indistintamente, provino a fare la propria parte, migliorandosi in ciò che si è e in ciò che si sa fare. Quindi, occorre studiare di più, a tutti i livelli, accettare di essere limitati (come siamo e come la vita dimostra), accettare che si può sbagliare ma che si può anche rimediare e che se si rimedia è un bene per tutti. Senza invece rinfacciare ciò che si era, anche quando ora si è diversi. E senza rancore. Senza opportunismi. Questa è l'autodeterminazione che va incentivata e rispetto alla quale occorre educarsi. Studiare significa conquistare la libertà, di pensiero, di opinione, di scelta. Studiare è l'unica vera strada per l'autodeterminazione.


È sul presente che occorre concentrarsi, senza dimenticare il passato, ovviamente. Usare il passato per argomentare sull’inadeguatezza del presente è sbagliato metodologicamente ed eticamente.



Se quindi qualcuno si oppone all'autodeterminazione, si oppone allo studio, si oppone alla scelta di libertà delle persone in quanto individui e in quanto collettività.

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