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La stagione degli “scontrini” socializzati e dei prezzi “fuori controllo”



Premessa

L’estate del 2023 sarà ricordata in Sardegna anche per la grande quantità di condivisioni sui social degli scontrini riguardanti le spese sostenute dai turisti in certe località e non solo. Le proteste contro il caro prezzi, per la verità, sono ben più ampie e investono i consumi di tutti i cittadini: dal prezzo del carburante per auto trazione (arrivato oggi 16 agosto a costare alla pompa ben € 2,72 al litro), a quello dei prodotti agricoli, fino a quello delle tariffe aeree per le quali lo stesso Stato italiano chiede, come fosse diventato improvvisamente uno Stato russ-vietico, all’UE di definire un tetto (price cap).


Che esista un problema di prezzi è documentato dalla crescita dell’inflazione che consiste (per chi non lo sapesse) in un processo tale per cui l’aumento dei prezzi di un bene porta ad aumentare quello di altri e così via in una spirale che, per chi ha memoria e appartiene alla generazione dei boomer, negli anni Settanta del secolo scorso era purtroppo la norma.


Sono giuste le polemiche? Hanno ragione coloro che si lamentano? Si può pensare di imporre dei tetti ai prezzi? Se sì, in base a cosa?


Provo, umilmente, a fare un po’ di chiarezza sul tema e i lettori mi perdoneranno se lo faccio in modo “didattico”.


Un esempio per iniziare a riflettere

Supponiamo di essere fermati da un mendicante che ci chiede una moneta. Quando questo accade, presumo, molti passano dritti e se ci si ferma difficilmente c’è chi elargisce più di 1€, senza contare che talvolta lo fa solo per togliersi di mezzo il problema.


Supponiamo, invece, che il mendicante ti dica che ha fame e tu decidi di pagargli la colazione al bar o gli compri un panino o un trancio di pizza nel più vicino negozio in cui ti trovi, chiedendogli persino come lo vuole imbottito o con quali gusti preferisce il trancio spendendo, per esempio 5€.


Domanda: chi ha pagato il prezzo più alto?


Ebbene, non esiste una risposta univoca a questa domanda. Sapete perché?


Perché la percezione di chi spende è sempre singolare, non ripetibile e non paragonabile con le percezioni di altre persone che dovessero sostenere quella spesa.


Se il caso che vi ho proposto ognuno lo calasse su sé stesso, accadrebbe che c’è chi, per esempio, si rifiuta di elargire monete a chi le chiede mentre è disponibile a pagare una colazione o comprare tranci di pizza a qualcuno che chiedeva di poter mangiare.


E sapete perché?


Perché nel primo caso la persona interessata ritiene di gettare via i soldi, di sprecarli, nel secondo caso invece pensa di aver fatto un investimento o un’opera meritoria.


Una prima conclusione!

L’esempio di cui sopra è solo uno dei tanti che possiamo riscontrare nei nostri quotidiani comportamenti di consumo dal quale si evince che la somma spesa ha sempre un valore soggettivo. Ciò che è prezzo alto per uno non lo è per l’altro. Il beneficio percepito della somma spesa, in altri termini, dipende dal valore che si attribuisce a quella spesa.


Come nascono i prezzi?

Il prezzo è l’unica variabile di marketing che l’impresa utilizza per ottenere ricavi. Senza di esso l’impresa non potrebbe sopravvivere poiché, altrimenti, sosterrebbe solo costi, disperdendo ricchezza. La scelta del prezzo da applicare è quindi molto delicata e ogni impresa per determinarlo si muove all’interno di una forbice rappresentata:

  • Verso il basso dai costi sostenuti per la produzione di quel bene o servizio che si vuole vendere;

  • Verso l’alto dalla disponibilità a pagare di quella porzione di consumatori (segmento obiettivo) alla quale l’impresa decide di rivolgere la propria offerta.

Il limite basso rappresenta quindi un “vincolo” al di sotto del quale tutte le imprese hanno il dovere di non andare per periodi prolungati (potrebbe farlo solo in modo contingente perché nel lungo periodo ci sarebbe il fallimento). Il limite massimo invece è stabilito proprio da coloro ai quali si rivolge l’offerta. In mezzo c’è un ampio ventaglio di opzioni che l’impresa può scegliere per proporsi ai propri clienti obiettivo.


A questo punto vi pongo un’altra domanda: quanti tra chi legge è solito acquistare una borsa Luis Vuitton, o un abito di Hermes, o una Ferrari testa rossa, o una Porsche, o un orologio Patek Philippe, ecc.?


Ebbene, pensate che questi marchi e questi prodotti si venderebbero se non ci fossero persone disposte a pagare i prezzi di quei prodotti?


Lo stesso discorso si può fare per il caffè degustato al caffè Florian di Venezia in Piazza San Marco o nella piazzetta di Porto Cervo, oppure per alloggiare in una camera all’hotel Danieli o in una suite di un bell’appartamento panoramico in qualche zona di Firenze, Roma, Milano e, perché no, Cagliari o in una delle stanze del nuovo Palazzo Tirso sempre a Cagliari o, ancora, per pranzare o cenare in determinati ristoranti stellati, ecc..



Insomma, se c’è chi vende questi beni e servizi a quei prezzi è perché ci sono persone disposte a pagare per poterli avere e per i quali i prezzi non sono percepiti come alti.


Una seconda conclusione, che poi è quella che crea a diverse persone maggiore fastidio.

In una economia di mercato la diversa disponibilità a pagare genera come conseguenza che non tutto è per tutti, anche se occorre precisare che in molti casi c’è chi risparmia su determinati beni e servizi pur di concedersi quello che anche nel linguaggio comune viene definito “un lusso”. Per esempio, accade che anche famiglie monoreddito di quartieri periferici delle città, ci sia chi decide di risparmiare sul mangiare per comprare il televisore o il cellulare di ultima generazione o l’auto desiderata. Oppure si decide di risparmiare sull’abbigliamento per concedersi un viaggio, ecc..


Ciò che emerge, non è quindi il fatto che ci siano prezzi “alti” ma quello della distribuzione della ricchezza e delle relative cause di questa situazione che sono diverse e complesse, non affrontabili in questo scritto.


Ci sono altri elementi che vanno considerati nella valutazione dei prezzi?

Sì, a cominciare dalle caratteristiche della domanda e delle condizioni di mercato.


Cosa significa caratteristiche della domanda?

Significa che ci sono beni e servizi rispetto ai quali il livello di domanda non si modifica anche quando i prezzi cambiano mentre ci sono altri beni e servizi il cui livello di domanda si modifica in ragione delle modificazioni dei prezzi. Se i prezzi dei carburanti aumentano ci sarà chi potrà decidere di utilizzare meno il proprio mezzo, andando a piedi o usando mezzi pubblici, mentre altri che per lavoro devono utilizzare necessariamente il mezzo proprio continueranno a utilizzarlo anche in presenza di un aumento del prezzo. Per alcuni, pertanto, la domanda sarà elastica, per altri no. A livello macroeconomico questo fenomeno posta a una generale contrazione dei consumi[1].



Ebbene, in questo quadro, di norma accade che la domanda dei beni di lusso sia anelastica, cioè non è influenzata dalle variazioni dei prezzi, mentre per altri beni accade quello che nel 2023 si sta riscontrando relativamente a diversi ambiti, compreso quello dei viaggi. Infatti, una parte degli italiani o sceglie di non viaggiare oppure decide di fare le vacanze in destinazioni dove i prezzi sono più bassi che in Italia o in Sardegna (es: Albania, Slovenia per fare giusto due nomi)[2].


Quel che è certo è che l’aumento dei prezzi delle materie prime generatosi subito dopo la fine della pandemia e aggravato prima dalle vicende della guerra tra Russia e Ucraina, poi dai sempre più frequenti fenomeni metereologici devastanti (si pensi all’Emilia Romagna grande produttrice di frutta e verdura oltre che di tanti altri prodotti alimentari) e, infine, da fenomeni speculativi non controllati dalle autorità competenti, sta rallentando i consumi e dall’altro li sta riposizionando verso beni e servizi più accessibili. Per esempio, crescono gli acquisti fatti nei discount[3] mentre molti marchi di supermercati, consapevoli di questa difficoltà, stanno svolgendo (l’ho verificato personalmente in una ricerca in corso di pubblicazione), meritoriamente, una importante funzione “cuscinetto” assorbendo in parte questi aumenti attraverso una riduzione degli utili di impresa che si sostanziano nella decisione di non trasferire al consumatore finale l’aumento da essi pagato sugli approvvigionamenti.


Cosa significa invece “condizioni di mercato”?

Le condizioni di mercato fanno riferimento al fatto che nella vendita di beni e servizi questi siano offerti da una sola impresa, da poche imprese o da molte imprese.


Nel primo caso l’impresa opera in condizioni di monopolio e quindi deciderà i prezzi senza sottostare ad alcun vincolo esterno, perché della sua offerta ci sarà qualcuno che non potrà farne a meno. Quando le imprese sono poche si crea una condizione di oligopolio che talvolta sfocia in veri e propri cartelli, tali per cui le imprese trovano un accordo, anche implicito, per posizionare i prezzi su livelli tali da non farsi concorrenza tra esse. L’ultima condizione di mercato è quella caratterizzata da molte imprese che liberamente si fanno concorrenza anche attraverso la leva del prezzo.


Va da sé che per i consumatori la condizione ideale e auspicata è l’ultima, poiché lascia libertà di scelta nei propri acquisti. Anche in questo caso, ovviamente, è evidente che la diversa disponibilità di spesa determina le scelte. Io vado in trattoria se voglio mangiare fuori casa perché penso di mangiare bene e di spendere il giusto. Eccezionalmente, se posso e ne ho desiderio, posso scegliere di andare anche in locali dove spendo di più ma perché, come nell’esempio iniziale, valuto il valore di quella esperienza superiore al “sacrificio” monetario che andrei a sostenere. Così come se voglio viaggiare e non rinunciare a fare le vacanze andrò in una destinazione più economica, dormirò in alloggi più economici (es: B&B invece dell’hotel) e mangerò street food o facendo spesa nei market e nei discount, cosa che quest’anno in Sardegna (e non solo) è accaduta e accade molto spesso.

Il problema dei prezzi riguardanti beni e servizi che impattano sui diritti fondamentali

A questo punto si può introdurre un altro importante elemento nel ragionamento che riguarda la natura dei beni e servizi: alcuni sono essenziali, fondamentali in un paese civile (io preferirei rivolgere la considerazione a qualsiasi paese del mondo), altri cosiddetti “voluttuari”, anche se questa espressione è criticabile per il fatto che la soggettività delle percezioni fa sì che lo stesso bene o servizio sia voluttuario per me ed essenziale per altri. Il che riporta il tema sulla diversa distribuzione della ricchezza e alle relative cause, che non sono oggetto di questo scritto.


È opinione comune che tra i beni essenziali ci siano quelli legati ai diritti fondamentali, peraltro spesso garantiti da norme costituzionali: salute, istruzione, acqua, energia, mobilità, e altri che sicuramente dimentico in questo momento.


Come vanno trattati questi diritti in termini di prezzi dei beni e servizi necessari per la loro soddisfazione?


La situazione nei diversi paesi del mondo non è uguale, purtroppo aggiungo io.


In Italia, dal dopoguerra si è creato un sistema tale per cui, per esempio, la sanità e l’istruzione dovevano essere accessibili a chiunque in modo indistinto e per questo abbiamo ospedali, scuole e università pubbliche, ritenendo che sia la collettività a farsi carico, in modo solidaristico, del costo relativo a queste prestazioni. Circostanza che ha permesso a tanti di essere curati e di poter migliorare la propria condizione sociale attraverso l’accesso allo studio.


Da qualche anno la situazione sta cambiando e, purtroppo, il diritto alle cure sta diventando un lusso così come quello di poter studiare senza che lo studente debba preoccuparsi di concorrere alle spese familiari. Questo non va bene e per la situazione presente in Sardegna e in Italia l’intervento pubblico è imprescindibile: è la collettività che deve solidaristicamente partecipare alle spese per garantire a tutti e in modo equo gli stessi diritti. Caso mai il problema è di rendere efficienti questi servizi, cosa che dipende dai modelli organizzativi prescelti e dalle competenze necessarie a tale scopo. Anche qui, però, si aprirebbe un altro capitolo.


Mi voglio invece soffermare, per concludere, sul diritto alla mobilità che per noi Sardi è da sempre problematico, dal momento che invece di fruire di beni e servizi in una condizione di mercato concorrenziale, da sempre è stata fatta la scelta dell’attribuire in condizioni di monopolio o oligopolio tali servizi, con evidente danno per i consumatori e per le casse della Pubblica Amministrazione. Le compagnie aree o navali sono infatti imprese e non sfuggono a quanto scritto in precedenza: anch’esse definiscono dei prezzi dei beni e servizi offerti in ragione del livello di domanda, delle condizioni di mercato e della disponibilità a pagare delle persone.


Ebbene, relativamente ai primi due elementi la situazione è la seguente.


Livello di domanda

In Sardegna questa varia nel corso dell’anno poiché ci sono periodi nei quali essa è influenzata principalmente da ragioni di lavoro e coinvolge nella gran parte la popolazione residente (parliamo dei mesi che vanno da ottobre ad aprile, grosso modo), in altri periodi dell’anno a questa domanda si aggiunge quella di chi viene per visitare l’isola e trascorrere in essa le vacanze.


Condizioni di mercato

Per ciò che ho scritto in precedenza, la condizione di mercato auspicabile dai consumatori è quella concorrenziale poiché lascia in capo al singolo di scegliere in base alle proprie preferenze di acquisto valutando il rapporto tra qualità del servizio e prezzo pagato per averlo.


Ebbene, se guardiamo la mobilità navale un po’ di concorrenza c’è dal momento che al colosso Moby-Tirrenia fanno concorrenza la compagnia Grandi Navi Veloci (GNV), Grimaldi e Sardinia-Corsica Ferries ma non su tutte le tratte possibili.


In ambito aereo, invece, la situazione è “drogata” dalla scelta fatta nel corso dei decenni dalla Regione Sardegna. Questa, attraverso i bandi, spesso impugnati a livello comunitario per violazione delle norme sulla libera concorrenza, da anni, fa una gara per concedere in esclusiva alcune rotte sui principali aeroporti italiani ad una sola compagnia e, in virtù di questa, stanzia delle somme in bilancio (nostri denari) che vengono dati a quelle che vincono la gara a compensazione dei maggiori costi da essi sostenuti per tenere le tariffe entro certi limiti. In altre parole, che l’aereo si riempia o meno la compagnia avrà remunerato quel volo, senza correre il rischio di ogni impresa per adoperarsi per riempire quel volo. In regime di concorrenza, infatti, la compagnia che deve vendere i posti dell’aeromobile adotterà per esempio una strategia di “revenue management” tale per cui modifica la tariffa in ragione del tasso di riempimento (load factor) dell’aeromobile. L'impresa ha quindi tutto l’interesse, per esempio, a praticare tariffe basse quando si è ancora lontani nel tempo dal momento in cui il volo sarà operativo mentre più l’aereo si riempie e più ci si avvicina alla data del volo, tanto più le tariffe cresceranno poiché inizialmente si cercherà di praticare una tariffa per coprire i costi poi invece si tenderà a conseguire profitti dagli ultimi che prenoteranno quel volo. Non a caso questa strategia fa sì che i primi ad acquistare i voli siano i viaggiatori per vacanza e turismo (leisure), mentre gli ultimi quelli che lo fanno per lavoro e non possono programmare con largo anticipo, oppure chi si trova in una condizione di emergenza (salute, affetti, ecc.). Questo modo di operare è quello tipico delle compagnie low cost e tra queste Ryanair è quella che in Europa si è maggiormente affermata, permettendo collegamenti punto su punto (da aeroporto ad aeroporto), senza avere degli hub di smistamento (Roma e Milano per la Sardegna). Il problema, anche qui, è che sarebbe auspicabile la presenza di altre compagnie, cosa che accadrebbe se avessimo delle proposte di vacanza interessanti anche al di fuori dei mesi che vanno da aprile a settembre.



Ora, la domanda che tutti dovrebbero farsi è: per altre isole del mondo o del Mediterraneo o, se volete, dell’UE si opera nello stesso modo? Chi si fa carico degli eventuali maggiori oneri sostenuti dalle compagnie aeree per garantire certi collegamenti? Ecco, su queste domande rinvio agli articoli scritti dal mio amico Sandro Usai che più volte ha trattato l’argomento (https://sandrousai.wixsite.com/website).


Per quel che mi riguarda, dal punto di vista dei prezzi delle tariffe aeree, per tutto ciò che ho scritto in precedenza, è sbagliato istituire monopoli ed è sbagliato concedere alle compagnie aeree i rimborsi dei maggiori costi, esponendosi in questo modo alle legittime e indiscutibili procedure di infrazione per violazione delle norme sulla libera concorrenza.


L’UE non avrebbe nulla da ridire se il contributo pubblico andasse ad abbattere il costo sostenuto dal passeggero mentre le compagnie aeree (spererei molte) dovrebbero essere libere di viaggiare su tutte le tratte che ritengono per esse strategicamente rilevanti proponendo le loro offerte. In questo modo il consumatore decide con quale compagnia viaggiare e lo stato interverrebbe per abbattere il costo sulla base di un calcolo ritenuto equo del costo del biglietto per quella tratta. Per esempio: si supponga che il prezzo equo della tratta Cagliari Roma sia calcolata in 80 euro. Le compagnie A, B e C devono essere libere di vendere quella tratta a 100, 150 e 200 euro: il cittadino sceglie con quale compagnia viaggiare e otterrà, comunque, un rimborso pari a 80 euro. A questo punto le compagnie si dovranno ingegnare per farsi concorrenza nel modo che riterranno opportuno lavorando anche su altri aspetti del servizio (costo del bagaglio aggiuntivo, servizio di somministrazione di alimenti e bevande, distanza dei sedili, possibilità di fruire di collegamento internet, ecc.).


Per concludere

Se si è avuta la pazienza di arrivare a questo punto dell’articolo ci si sarà resi conto che ciò che sta accadendo ai prezzi di molti beni e servizi è, per la maggior parte dei casi, dentro le regole di mercato. Lamentarsi in modo generico serve a poco. Caso mai occorre stanare gli speculatori, gli imbroglioni, ecc. ma questo è un altro tema. Occorre invece evitare i monopoli, di qualsiasi tipo, e favorire un contesto sempre più concorrenziale.

Ciò che non va bene, invece, è che, come nel caso della mobilità aerea, lo Stato pensi di intervenire su un mercato così delicato utilizzando il price cap. Solo se in un mercato concorrenziale si dovesse accertare che le imprese fanno cartello ponendo in essere dinamiche illegali allora, e solo allora, lo Stato dovrebbe ricercare i modi di tutelare i consumatori residenti nelle isole e i non residenti che hanno un interesse verso quei territori.



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