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Energie rinnovabili: dalla protesta alla proposta.

Alcuni criteri per agevolare la transizione da fonti fossili a fonti rinnovabili in Sardegna.




L’imperativo della transizione energetica da fonti fossili a rinnovabili non si discute, come non si discute il fatto che ove possibile occorre incentivare tutti gli investimenti che aiutano a risparmiare energia e le sue dispersioni. Lo dobbiamo a tutti noi, individualmente e collettivamente, e lo dobbiamo, in modo particolare, alle generazioni future. Qualsiasi sforzo che vada in questa direzione non solo deve essere ben accetto ma auspicato e incentivato, anche se dal lato della domanda questa transizione non impatta, almeno nel breve e medio termine, sul “peso” economico delle bollette dei consumatori.


Nel contempo non va sottovalutato il fatto che la transizione alle rinnovabili, che prevede di installare in Italia circa 8 Gw l’anno per cinque anni (di cui la gran parte in Sardegna), impatta sulla qualità del contesto in cui tutti viviamo e che oggi è inquinato, spesso fortemente, in molte aree dello Stato italiano e della Sardegna. Quindi, l’abbandono del carbone e del metano sono da considerare prospettive non negoziabili e non dilazionabili cui anche i Sardi dovrebbero aderire senza riserve.


C’è però un aspetto, riguardo le fonti rinnovabili, che va tenuto in debito conto e riguarda le modalità concrete con cui la transizione deve avvenire perché la produzione di energia da fonti rinnovabili non è priva di impatti e relativi costi, ambientali, sociali e, più in generale, ecosistemici.


Si pone, di conseguenza, non già il problema di rifiutare questa prospettiva ma quello di definire dei criteri in base ai quali valutare le proposte progettuali da qualunque parte esse vengano, soprattutto anche in considerazione del fatto che ci sono territori, in tutto il mondo, in cui questi impatti possono essere più negativi che in altri.

Su questa linea parrebbe, almeno per ciò che finora è possibile comprendere, anche il Ministro del Governo italiano in carica Roberto Cingolani il quale, nel presentare il progetto, ha dichiarato (https://www.ansa.it/sardegna/notizie/2021/07/09/rinnovabilicingolanisardegna-prima-isola-green-in-europa_051a03b7-2ab2-4585-a6e3-7ce45eca62c4.html) che “L'unica condizione non negoziabile è il paesaggio, ma sul resto dobbiamo svoltare, subito e bene”. Una affermazione coerente con quanto previsto dalla Convenzione europea del paesaggio (http://www.convenzioneeuropeapaesaggio.beniculturali.it/uploads/2010_10_12_11_22_02.pdf) che stabilisce un principio che si spera non venga aggirato in qualche modo, quello del coinvolgimento diretto delle popolazioni interessate. Il concetto di “paesaggio", così come emerge dalla citata convenzione, “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, il che non va inteso solo in senso estetico ma più in generale ecosistemico.


Va da sé che sul piano procedurale e coerentemente con quanto sopra indicato vanno necessariamente coinvolte le Regioni e le singole comunità locali, mentre sul piano dei contenuti occorre, come già affermato, stabilire dei criteri di priorità e dei vincoli cogenti.


Entrando nello specifico del problema energetico sappiamo che, dal punto di vista dell’offerta, due voci di costo molto importanti sono rappresentate rispettivamente dall’accumulazione dell’energia e dalla distribuzione. Questo significa, in astratto, che la soluzione ideale è certamente quella di produrre l’energia dove serve e quando serve, limitando al minimo i problemi di trasferimento e di accumulazione, anche perché ai costi di trasferimento si aggiungono quelli della dispersione dell’energia. Ciò sarebbe fortemente in contrasto con la realizzazione di mega impianti di cui invece si discute e che, obiettivamente, impattano pesantemente in qualsiasi contesto territoriale dove il rispetto del paesaggio e la possibilità di diversificare le produzioni, comprese soprattutto quelle agricole, rappresentano un elemento di equilibrio ecosistemico fondamentale. Di converso, la pratica del principio di cui sopra è coerente con il progetto GECo (Green Energy COmmunity), il progetto di gestione comunitaria della risorsa energetica locale che riduce le distanze tra produzione e consumo, promuovendo l’autoconsumo e/o lo scambio interno di energia prodotta in loco a partire da fonti rinnovabili (https://www.enea.it/it/seguici/pubblicazioni/pdf-volumi/2020/guida_comunita-energetiche.pdf), iniziativa perseguita in Sardegna dalla comunità di Benetutti e alla quale stanno dando seguito altre Comunità del Medio Campidano (per esempio Ussaramanna e Villanovaforru).



Pertanto, se si cerca di contemperare tutte le esigenze in campo, appare evidente che l’integrazione dell’offerta di energia con impianti eolici e fotovoltaici di una certa dimensione, deve avvenire definendo, prioritariamente, i criteri da seguire in modo da garantire la tutela di tutte le esigenze in campo in modo complessivo, equo e in modo trasparente, coinvolgendo le Comunità, con informazioni chiare e facilmente comprensibili a tutti, compresa la predisposizione di rendering degli impianti prima che si inizi a scavare anche un solo centimetro quadrato di terra. In particolare, una ipotesi iniziale di criteri che si dovrebbero seguire potrebbe essere la seguente, da considerare gerarchicamente vincolante, nel senso che il primo criterio è di valenza superiore al secondo e così via di seguito. Si passa all’adozione del criterio successivo solo dopo che sono state sfruttate al massimo le opportunità provenienti dal precedente.


Criterio n. 1

Per quanto riguarda gli impianti eolici, nella scelta tra impianti off shore (che distano almeno 20 km dalla costa) e quelli a terra sono da preferire i primi perché meno impattanti sull’ecosistema territoriale.



Criterio n. 2

Qualora si rendesse necessario realizzare impianti nella terra ferma (sia eolici che fotovoltaici) sono da utilizzare, soprattutto e prima di tutto, le aree industriali e quelle compromesse dal punto di vista ambientale (es: area di Ottana come la foto sotto), anche provenienti da concessioni militari da dismettere (aspetto da negoziare come compensazione della eccessiva presenza di servitù statali nel territorio della Sardegna). Nei casi di terreni inquinati si dovrebbe contestualmente operare per la bonifica dei siti.



Criterio n. 3

Sono da escludere, per entrambi gli impianti, in modo totale e radicale i crinali delle montagne e i terreni a vocazione agricola. I primi per ragioni paesaggistiche (o ecosistemiche) dal momento che in esse ci sono specie volatili che secondo alcuni studi possono essere danneggiate dalla presenza di pale eoliche (anche se il tema è controverso come si può leggere qui https://www.qualenergia.it/articoli/le-pale-eoliche-un-po-di-verita-sul-presunto-killer-degli-uccelli/). I secondi, invece, vanno esclusi perché già oggi la realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici in territori agricoli ne compromette l’uso a fini agricoli, in un contesto caratterizzato da forte dipendenza agroalimentare per molteplici produzioni.



Criterio n. 4

Tutti i progetti dovranno, necessariamente, essere realizzati prevedendo la possibilità di una partecipazione diretta delle comunità e dei singoli cittadini sardi nella compagine sociale e negli organi gestionali delle società di produzione e distribuzione energetica da fonti rinnovabili.



Quest’ultimo criterio, se venisse codificato, sarebbe un segnale importante da parte del Governo circa la volontà sia di favorire lo sviluppo socio-economico del territorio regionale, posto che la produzione di energia in surplus rispetto al fabbisogno interno della Sardegna, concorre solidaristicamente, come è giusto che sia, al fabbisogno dell’intera penisola italiana, che di evitare operazioni speculative da parte di soggetti esterni a questa terra che usufruiscono di contributi pubblici e poi “scappano”, lasciando in eredità povertà e inquinamento. Anche a tale proposito, sarebbe opportuno che il Governo della Regione Sardegna ricordasse a quello italiano quanto già la Sardegna paghi allo Stato italiano in termini di servitù militari, sia come danno emergente (per effetto dei disastri generati da tale presenza) sia come lucro cessante, poiché ne pregiudica l’utilizzazione per altre finalità sociali ed economiche di tipo naturalistico o di fruizione turistica sostenibile.



In ultimo, al fine di acquisire forza negoziale nei confronti dello Stato sarebbe altresì opportuno che la Regione Sardegna adottasse un proprio provvedimento, meglio se nella forma di un ordine del giorno unitario votato dal Consiglio Regionale, così da mettere il Presidente e la sua Giunta nella condizione di richiedere il rispetto dei principi di cui sopra, in modo che la transizione si configuri veramente come una opportunità e non come una ulteriore ennesima imposizione che molti sardi non capirebbero e che sono sempre meno disposti ad accettare. Quindi, ben venga la transizione senza passare dal metano, verso di essa nessuna opposizione ideologica o di sola protesta ma una razionale, consapevole e intelligente azione propositiva capace di creare valore per tutti.


PS: Sono grato a Renato Orrù per il tempo dedicatomi e per alcuni suggerimenti da cui ho tratto spunto per la precisazione di alcuni passaggi

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