Sono ormai quattro anni che insieme ad altri amici ho intrapreso una azione culturale e politica intorno ai simboli che caratterizzano la Sardegna, nel bene e nel male. In particolare, ho acquisito una certa notorietà in virtù della mia azione riguardante la petizione "Spostiamo la statua di Carlo Felice: un'occasione per studiare la storia della Sardegna" (qui) e delle diverse partecipazioni alle presentazioni del libro del prof. Francesco Casula intitolato "Carlo Felice e i tiranni sabaudi".
In virtù di questo in molti mi additano, nella migliore delle ipotesi, come "quello che vuole spostare Carlo Felice" e nelle peggiori, come quello che vorrebbe cambiare la storia o altre amenità di questo tipo. Tra costoro, in verità, più di una volta ho verificato che pochissimi avevano letto la petizione e ancora di meno quelli che sono stati a sentire le presentazioni del libro del prof. Casula.
Ecco che quindi sento il bisogno di "farmi" un'intervista, quella che avrei voluto mi avessero fatto i tanti che mi hanno criticato (o che mi criticano). Non perchè non si possa avere idee diverse ma solo perchè vorrei che prima di criticarmi si capisse veramente il senso di queste azioni.
L'intervista, pertanto, non nasce per ragioni voyeuristiche ma solo per provare a farmi capire, in un modo che spero il lettore possa trovare accattivante e simpatico. Se poi risulterò anche convincente ne sarò ancor più contento.
D. Professore, chi la segue su Facebook non può che constatare come lei sia molto apprezzato dai suoi studenti, antichi e recenti. Non solo, ha un certo seguito e pubblica temi e concetti spesso interessanti per molte persone che non sono neppure tra i suoi contatti. Tuttavia, c’è un argomento che appare come una "fissazione" e che non sembra coinvolgere lo stesso numero di persone: la questione della statua di Carlo Felice. Perché ce l’ha tanto con i Savoia?
R. Le può sembrare strano quello che sto per dire, ma io con i Savoia non ho proprio nulla, di essi, mi conceda la licenza poetica, "non mi può fregar di meno" e ciò per almeno le seguenti ragioni:
la monarchia in Italia non esiste più dal 1946 e, fortunatamente, per molti anni agli eredi della stessa venne impedito di mettere piede nel suolo dello stato italico;
gli attuali eredi, babbo e figlio, non mi pare assurgano a ruoli così di prestigio, né godono di chissà quale seguito. Peraltro, uno è un assassino (qui) ed entrambi non hanno mai avuto il coraggio di dire, per esempio, che rinnegavano le leggi razziali. Anzi, al contrario, a domanda specifica il babbo fece capire che si trattava di leggi per lui giuste come si può capire da questa intervista (qui).
Quindi, di chi e cosa vogliamo parlare? Davvero, a me loro non rappresentano nulla.
Quanto al fatto che questo argomento non catturi lo stesso numero di persone di altri post riguardanti altri temi può avere diverse spiegazioni. Io individuo le seguenti:
Non riesco a spiegare bene ciò per cui metto la faccia;
Le persone cui vorrei parlare inseriscono una sorta di filtro automatico tale per cui quando leggono di quest’argomento sorvolano, perché riducono tutto allo spostamento di una statua, cosa che per loro è inaccettabile di per sé (le motivazioni vanno da "non si cambia la storia" a "l’ho conosciuta sempre così" oppure "c'è ben altro da fare", ecc.);
Non è un tema che, per la gran parte della gente, impatta su questioni materiali che attengono al lavoro, ai loro interessi personali, ecc.
Peraltro, ci sono pure persone che non sono avvezze a manifestare pubblicamente il proprio pensiero ma diverse, in privato, mi hanno confidato di seguirmi anche su questo tema e di insistere perché è importante.
D. Allora, se lei non ce l’ha con i Savoia perché ha promosso, insieme ad altri, una azione volta a cambiare la toponomastica delle città sarde e, addirittura, spostare la statua di Carlo Felice presente nel centro di Cagliari?
R. Qui il discorso è diverso. Il problema è quello di interrogarsi, oggi, come cittadini del terzo millennio, sul significato di certi simboli e sul valore educativo o diseducativo degli stessi. In tal senso ciascuno di noi si dovrebbe porre alcune domande, per esempio:
Come mai nei comuni di gran parte delle città della Sardegna ci sono tantissime strade dedicate a personaggi del periodo sabaudo e ai loro accoliti?
Quegli spazi oggi dedicati a questi soggetti avevano prima di quel tempo altre denominazioni?
Se SI, perché i governanti dell’epoca sentirono il “bisogno” di cambiare le precedenti denominazioni?
Cosa c’è dietro la denominazione di una strada o una piazza?
Perché si dedicano statue a personaggi?
Ha senso, oggi, mantenere in spazi pubblici statue dedicate a personaggi che, grazie alla diffusione di fatti storici prima ignorati o noti solo a pochi eletti, si considerano come espressivi di disvalori o che, nella migliore delle ipotesi, hanno una storia di ambiguità?
Che significato può avere lasciare che strade e statue di persone immeritevoli, per quelli che sono i valori che oggi consideriamo come fondamentali per il comune vivere civile, siano ancora così ampiamente popolate di questi simboli?
Ecco, lei e chi legge questa intervista, provi (provate) a porsi (porvi) queste domande e a darmi delle risposte. Lo dico sinceramente eh, senza polemica.
D. Quindi, mi faccia capire, cosa vorrebbe ottenere lei nel cambiare i nomi ad alcune strade o nello spostare alcune statue come quella di Carlo Felice.
R. Allora, io faccio l’educatore e, per ragioni di ricerca, mi occupo, tra le altre cose, del significato dei simboli. Ergo, se strade e statue sono simboli, la domanda è: se io li modifico cosa ottengo?
Orbene, la prima cosa che si può ottenere è quello di “educare”, nello specifico a simboli positivi: se io cambio per esempio il nome del “Largo Carlo Felice” in “Largo 28 aprile 1794, giornata del popolo sardo” ottengo almeno i seguenti risultati:
La gente si chiede il perché di questo cambio, quindi può imparare qualcosa della storia della Sardegna che, purtroppo, è quasi pressoché sconosciuta ai più;
Se si studia la storia di questa terra si capisce che la nuova denominazione evoca un momento di orgoglio e trasmette un messaggio, quello di credere in noi stessi, di lavorare per valori universali come quello della libertà di pensiero, di azione, di impresa, ecc.;
Evidenzia l’abbandono di una denominazione che invece evoca sudditanza, servilismo, passività, perché in fondo la statua di Carlo Felice non esaurisce la propria simbologia nel personaggio rappresentato ma è rappresentativa di un periodo, quello monarchico, dove il “sovrano” aveva potere di vita e di morte su ogni cittadino. Si chieda in che modo, a quell’epoca, governavano i re? Scoprirà che essi usavano sostanzialmente due leve: la tirannia, eliminando fisicamente chi essi percepivano come pericolosi e, dall’altro, il paternalismo, con cui cercavano di ottenere asservimento, servilismo, ossequi, ecc. Ebbene, queste due leve, erano funzionali al potere e svolgeva la funzione di dividere la popolazione (divide et impera, ricorda?) per cui o si era contro di loro a rischio della propria vita, oppure si stava dalla loro parte appoggiando qualsiasi cosa essi volessero per ottenere qualche gratificazione sotto forma di nomine, ecc.. Le pare corretto questo modo di operare? Ma anche per allora, le pare che fosse un modo corretto? Non è che a quel tempo non si capisse l'importanza di certi valori.
Quindi, la domanda è: noi vogliamo che questa simbologia permanga ancora oggi? Davvero, siamo convinti di volere per l'oggi e per il domani che le nostre piazze siano ornate di simboli che evocano sudditanza, servilismo, asservimento, rassegnazione, passività, ecc.?
D. Ma questo appartiene al passato. Lei stesso ha detto che questi sono stati sconfitti dalla storia. Come si spiega?
R. Ecco, è qui che occorre conoscere bene la storia per chiedersi se quelle logiche di ieri sono presenti in tanti comportamenti di oggi.
Lei pensa che oggi sudditanza, servilismo, asservimento, rassegnazione, ecc. non siano più presenti nei comportamenti di chi si rapporta col potere? Cosa succede, per esempio alle elezioni? Quante volte leggiamo, sentiamo, osserviamo persone che dicono, anche sfacciatamente, “se vuole il mio voto mi deve dare qualcosa in cambio”, o, ancora, "se vuole il mio voto mi deve cercare e chiedermelo", così da istituire una sorta di credito. E infatti qualcosa in cambio spesso la ottiene prima del voto: pacchi di pasta, bollette pagate, certificati ottenibili di diritto presentati come se fossero il risultato di un piacere, ecc. Come chiamiamo tutto questo? Clientelismo. Infatti, viviamo per molti aspetti in una società clientelare, nell'ambito della quale, ancora una volta, assistiamo a forme di tirannia (quelli che avendo il potere ti escludono se non sei dalla loro parte) e forme di paternalismo volte a far capire che se ti asservi a loro puoi ottenere qualcosa.
D'altro canto, se andiamo a vedere le percentuali di partecipazione al voto osserviamo che ormai un terzo degli aventi diritto non esercita stabilmente questo diritto sacrosanto, rassegnato dalla percezione che il proprio voto sia inutile o che anche votando non cambi nulla.
Ecco allora che ci si dovrebbe porre un’altra domanda: I sardi sono ancora disposti oggi a considerare i nuovi “sovrani” (presidenti di istituzioni varie, assessori, sindaci, politici in genere, consiglieri di amministrazione, consiglieri regionali, ecc.) come il mezzo per soddisfare le proprie aspettative? Mi riferisco al fatto che prima ci si ingraziava il sovrano per avere qualche beneficio, oggi si cerca di ingraziarsi i nuovi “sovrani” (sic!).
È questo che vogliamo?
D. Scusi, ma se allora lei non ce l’ha con i Savoia, c’è qualche soggetto con cui, attraverso questa petizione, ritiene di doversela prendere?
R. Certo che si. Me la prendo con chi non fa nulla per far si che la storia della Sardegna sia insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. Me la prendo con chi non si interroga sulla simbologia dei toponimi presenti nelle nostre strade e con chi non si interroga sulla presenza di statue in piazze pubbliche che sono un monito negativo per chi vive oggi. Me la prendo con chi non fa nulla per costruire un presente e un futuro fatto di consapevolezza, di azioni intelligenti di ri-progettazione degli spazi pubblici.
D. Se le cose stanno così, allora perché la petizione si intitola “spostiamo la statua di Carlo Felice”?
R. Per la verità si intitola “spostiamo la statua di Carlo Felice: un’occasione per studiare la storia della Sardegna". Non è un dettaglio di poco conto. È una specificazione connotativa della iniziativa che stiamo portando avanti. Noi vogliamo educare, diffondere conoscenza e consapevolezza, non distruggere o distrarre rispetto a temi più importanti, come afferma chi ci strumentalizza.
D. Qualcuno penserà che lei in tutto questo ci guadagna qualcosa? Ce lo può confessare?
R. Mia mamma avrebbe risposto "tristu e miserinu" per dire che non solo non ci guadagno nulla, se non la stima di tante persone che ho avuto modo di incontrare e conoscere, ma so per certo che a tanti questa mia azione non piace, anche a colleghi dell'Università che la ritengono "inopportuna", con tutto ciò che questo termine può esprimere. Io però ho certezza che quel che faccio sia giusto, lo faccio in scienza e coscienza. Io non conoscevo e ancora ora non conosco molti aspetti della storia della Sardegna. Il libro del prof. Casula mi è servito per avvicinarmi e da lì sono andato a ricercami le fonti da lui citate, non già perchè pensassi che avesse scritto cose sbagliate, ma per approfondire e, perchè no, anche verificare la correttezza delle citazioni. Del resto può capitare a tutti di sbagliare.
Ebbene, posso dire che tutte le fonti da lui citate sono autentiche. Quindi il suo lavoro è molto utile per la divulgazione di questa parte della nostra storia. Ovviamente, il libro è stato scritto con un obiettivo ben preciso: quello di mettere in fila la sequenza di fatti che permettono di qualificare i 226 anni di dominazione sabauda in termini tirannici, non quello di ricostruire tutta la complessità degli eventi di quel periodo. Il che ha come conseguenza che - come sostengono coloro che lo criticano - nonostante questa dinastia "abbia fatto anche cose buone", seppure la ricerca storica permette di aggiungere dettagli, di precisare aspetti, di ricostruire vicende che in passato potevano apparire ambigue, nella sostanza la valutazione complessiva di quel periodo non si modifica.
D. Pensa che con questa intervista sia riuscito a chiarire meglio il suo pensiero?
R. Non so, forse in qualche caso si. Ma i pregiudizi sono tantissimi e quindi non sarei sorpreso che anche questa volta il tutto fosse ridotto a una statua da spostare (quando invece qualcuno malignamente e falsamente) afferma che vorremmo distruggerla, perché così e solo così possono schernire me e svilire l’iniziativa.
D. Sarebbe disponibile a farsi intervistare anche da altri?
R. Certamente si, che problemi ci sono. Non ho nulla di cui vergognarmi. Magari mi intervistassero anche su questo tema.
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