Benché non ami molto le etichette, se proprio devo definirmi politicamente allora sono senza ombra di dubbio un "federalista". Lo sono dal lontano 1981, da quando studente di Economia e Commercio, al terzo anno mi imbattei nel corso di Tecnica Industriale e Commerciale impartito dal prof. Giuseppe Usai, allora militante del Movimento Federalista Europeo. Fu un esame che cambiò completamente anche il mio rapporto con lo studio, perché finalmente trovai ciò che studiavo attinente alla realtà che vivevo, alle notizie che leggevo e ai legami col territorio in cui sono nato e cresciuto.
Alla fine del corso sostenni l'esame con pieno successo e così chiesi al professore di accompagnarmi nello svolgimento della tesi di laurea intitolata "Il sistema imprenditoriale della Sardegna e il processo di integrazione europea" che, tra l'altro, mi permise di vincere due anni dopo il premio nazionale di meridionalistica intitolato a Guido Dorso.
L'argomento del federalismo mi appassionò tanto e fu così che, grazie al metodo sistemico, iniziai a comprendere l'importanza di studiare sia le parti di un tutto che il tutto, distinguendo bene il ruolo delle une e dell'altro e, in particolare, le relazioni tra le une e l'altro e viceversa.
Successivamente, il professore mi invitò a partecipare alle riunioni del Movimento (di cui prima non avevo mai sentito parlare), di incontrare altri giovani, di partecipare a convegni internazionali dei giovani federalisti europei, ecc.. Nel tempo mi iscrissi al Movimento facendo persino "carriera" per diventare segretario regionale, aprendo sezioni in diversi paesi e rivitalizzandone alcune che languivano anche con l'organizzazione di convegni e riunioni: a Sassari, a Tortolì, a Bono, a Nuoro, ad Alghero, Ghilarza, ecc..
Nel 1984 poi, si tenne a Cagliari il Congresso Nazionale del Movimento Federalista, alla Fiera Campionaria, dove la sala da 900 posti venne totalmente occupata con anche persone in piedi. Feci parte del comitato organizzatore e mi dovetti dedicare anche alla gestione degli arrivi degli ospiti provenienti dal continente. L'anno dopo partecipai alla Manifestazione di Milano svoltasi in concomitanza del Consiglio Europeo nel quale Craxi e Andreotti ruppero con la signora Thatcher dando inizio al percorso che portò all'Atto Unico Europeo con la costituzione del mercato interno europeo.
Perchè mi piacque la prospettiva federalista?
Perchè l'approccio sistemico, su cui esso si fonda, molto utile per studiare l'impresa può essere opportunamente esteso anche ai suoi sovrasistemi, compreso quello politico istituzionale.
Cosa significa applicare questo approccio all'ambito politico istituzionale?
Vuol dire, seguendo l'impostazione di Alexander Hamilton, costruire un modello di organizzazione dello Stato basato sulla suddivisione del potere in senso verticale tra più livelli istituzionali (oltre che in senso orizzontale tra esecutivo, legislativo e giudiziario), sulla base del principio di sussidiarietà: il che comporta, in altre parole, che un qualunque sistema (per esempio un territorio) è sempre composto da più sottosistemi e, a sua volta, ogni sistema è, a sua volta, un sottosistema di sistemi più ampi.
Perchè vi scrivo di questo?
Perchè per molti il federalismo è antitetico all'indipendentismo mentre, a mio modesto avviso, lo ricomprende. Il che mi porta, molte volte, a non capire bene cosa intendano per indipendenza molti miei amici "indipendentisti". Così come, è bene ricordarlo, il federalismo è antitetico al centralismo degli stati nazionali ottocenteschi e tra questi, più di tutti, l'Italia, anche se di questo non mi voglio occupare in questa riflessione.
Ebbene, anche io mi considero indipendentista se faccio riferimento ad una delle gambe del federalismo: quella che guarda alle singole comunità locali e al loro intrinseco e legittimo bisogno di autodeterminazione e autogoverno (frustrato finora dallo stato italiano, fin dai tempi in cui il Regno di Sardegna venne regalato ai Principi del Piemonte). In questo sono sicuramente indipendentista. Ci sono materie sulle quali è giusto, conveniente, economicamente e responsabilmente congruo, che siano le singole comunità a decidere.
Però ci sono altre questioni, rispetto alle quali avverto la necessità, intellettuale e pratica, di spostare in avanti la linea di confine del mio contesto di riferimento per definire il mio ruolo in ambito mondiale. E questo vale per me come persona ma, soprattutto, vale ancor di più per chi fa impresa o intrattiene relazioni economiche nel mondo globalizzato.
Prendete per esempio uno strumento fondamentale dell'economia: la moneta. Essa serve per tutte le transazioni, sia in ambito interno ad uno stato che a livello internazionale (dove la moneta è un bene che ha un prezzo come tanti altri beni e che per questo ha un valore di cambio soggetto a modificarsi nel tempo).
Ebbene, a quale livello istituzionale pensate sia congruo avere il potere di battere moneta? E' ragionevole pensare che possano essere i comuni o le province, oppure anche la Sardegna che diventa stato federale dentro l'Italia o, per me meglio, dentro l'UE?
In sintesi, ci sono questioni dove la dimensione minima per avere un ruolo, soprattutto in ambito internazionale, deve essere almeno quella continentale. Non a caso abbiamo l'euro che riguarda una parte dei paesi facenti parte dell'UE.
Chi è avanti con gli anni ricorderà cosa era l'Italia sul piano monetario prima dell'euro. Tassi di inflazione a 2 cifre. Che poi dopo l'unione monetaria tante cose siano state fatte male in primis dallo stato italiano e poi anche dall'UE, di cui l'Italia è parte, non c'è dubbio ma, in ogni caso, anche oggi, meno male che abbiamo l'euro.
Qualcuno potrebbe osservare che, per esempio, la Svizzera rimane stato indipendente, non fa parte dell'Unione europea e ha una economia solida. Ebbene, non si può fare il confronto con la Sardegna partendo solo dall'estensione geografica e dalla popolazione, che in ogni caso, sono diversi dalla Sardegna. Occorre infatti guardare, per esempio, il tasso dei laureati che è pressoché doppio a quello della Sardegna, così come la dinamica demografica cresce, seppure lievemente mentre nella nostra Nazione si riduce pericolosamente e nel contempo invecchia più che altrove. Il PIL in Svizzera è cresciuto nel 2021 del 5,4% mentre in Italia ci si esalta quando raggiunge il 2%.
Insomma, va bene sognare ma occorre farlo tenendo gli occhi ben aperti e i piedi piantati per terra. In altre parole, occorre lavorare seriamente e in modo diffuso per modificare i parametri socio-demografici della nostra Isola, partendo da ciò che dipende in gran parte dai singoli individui: fare tutto ciò che è nella possibilità di ognuno per migliorare le competenze di ciascuno: questo è l'investimento più importante che può modificare molte cose in un tempo ragionevole e misurabile con la vita umana. Altrimenti, sono solo slogan e parole messe in libertà.
Questo esempio dovrebbe aiutare a comprendere come, in questa fase storica, la prospettiva federalista sia l'unica compatibile con l'autogoverno del popolo sardo. Altre ipotesi rimangono fantasiose, poco praticabili e, soprattutto, poco utili.
Peraltro, la UE non va abolita, va trasformata in senso ancor più democratico e per l'Italia, almeno nel breve termine, vale lo stesso discorso: va trasformata in senso federale. Per fare questo non serve lamentarsi, serve fare proposte sensate che gli interlocutori con cui fare i conti possano ascoltare con interesse. Perché, se si hanno proposte serie, è impossibile non farsi ascoltare.
Ho letto tutto con tanta attenzione sforzandomi di comprenderne il senso, in ragione dei miei limiti su un argomento così interessante. Non mi resta che ringraziare per l'opportunità di avere potuto fare questa lettura che, a mio avviso, dovrei accompagnare con uno studio sull'argomento trattato, seppure ritengo che non verrà fatto adducendo una serie di pretesti.