
Il Manifesto di Ventotene, redatto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel 1941, segna una pietra miliare nel pensiero federalista europeo. Originariamente concepito come una visione per prevenire conflitti futuri attraverso l'integrazione europea, il Manifesto poneva l'accento sull'importanza di unire le risorse strategiche e gestirle collettivamente. Tuttavia, il percorso dell'integrazione europea ha divergenze significative dall'idea federalista come è stata concepita in seguito dal Movimento Federalista Europeo (MFE)[1].
1. L'aspetto di valore: il contesto di diritto
Il federalismo moderno, ispirato anche dalle idee di Immanuel Kant sulla pace perpetua, enfatizza la risoluzione giuridica delle controversie piuttosto che quelle militari. Questa visione propone un quadro legale che governa le relazioni tra gli stati, puntando a una smilitarizzazione progressiva e, idealmente, all'eliminazione degli eserciti nazionali, rendendoli obsoleti in un contesto federale di diritto[2].

2. L'aspetto istituzionale: la sussidiarietà
Il federalismo suggerisce una struttura collaborativa che rispetta le diversità e si basa sul principio di sussidiarietà. Questo principio permette la gestione delle materie a livello più vicino ai cittadini, ma assegna decisioni a livelli superiori quando necessario per efficienza, efficacia o interesse comune. Questo approccio rispecchia un'architettura istituzionale che cerca di bilanciare l'autonomia locale con l'efficacia delle politiche su scala più ampia.
Emerge, pertanto, che per Stato federale si intende, traendo spunto da uno studio di Wheare, quell’organizzazione politica in cui “le funzioni di governo sono divise in modo tale che la relazione tra il corpo legislativo la cui autorità si esercita su tutto il territorio e i corpi legislativi la cui autorità si esercita su parti di territorio non è una relazione tra superiore e inferiore… bensì una relazione tra partner coordinati nel processo di governo. In un governo federale vi è una divisione delle funzioni di governo tra un’autorità, generalmente chiamata governo federale, che ha il potere di regolare certe questioni per l’intero territorio, e una serie di autorità, generalmente chiamate governi degli Stati, che hanno il potere di regolare certe altre questioni per ciascuna delle parti che costituiscono il territorio…Sistema di governo federale significa perciò una divisione di funzioni tra autorità coordinate, autorità che non sono in alcun modo subordinate le une alle altre, né nell’estensione, né nell’esercizio delle funzioni loro assegnate”.[3]

Di questo tipo di Stato inoltre esistono due versioni: quella costituzionale classica, a carattere dualistico in quanto il governo federale e i governi degli stati operano in due sfere separate senza reciproche interferenze sulla base di una rigida divisione delle competenze; e quella cooperativa i cui caratteri sono definiti dall’aumento delle relazioni tra i due livelli di governo e dall’estensione delle competenze concorrenti.[4]
3. L'aspetto storico-sociale: la critica allo Stato-Nazione
Il pensiero di Pierre-Joseph Proudhon e gli sviluppi successivi di Mario Albertini criticano l'idea di Stato-Nazione, vista non come espressione di "nazioni naturali" ma come costruzioni ideologiche emergenti dall'epoca della rivoluzione francese. Questo aspetto del federalismo distingue nettamente tra l'aggregazione volontaria di nazioni per interessi comuni (federalismo) e le tendenze secessioniste che mirano solo alla divisione senza cercare un'integrazione più profonda.[5]

Conclusioni: il cammino verso un federalismo autentico
Sulla base di quanto fin qui schematizzato, anche a costo di qualche semplificazione, dovrebbe essere chiaro quanto segue:
Il processo di integrazione europea attuale mostra scarsi elementi di vera natura federalista. Il che porta i federalisti a mettere in discussione tale modello non già per affossarlo, come vorrebbero le forze sovraniste oggi presenti in Europa e i tanti che attribuiscono a esso ogni malfunzionamento dell’economia o peggio ogni loro disgrazia personale, ma al contrario ad agire per restituire ad esso la vera natura di costruzione di un contesto di pace e di diritti sulla base della equità, della libertà, della giustizia sociale e della tutela e valorizzazione delle differenze di tipo storico, culturale, linguistico, ecc..
Il federalismo richiede un processo aggregativo tra entità distinte, basato sul patto federale. In tale ambito, siccome non si parte da zero, occorre ridefinire i rapporti tra gli stati. Adottare il principio di sussidiarietà significa rimettere in discussione gli stati nazionali unitari ottocenteschi che hanno spogliato di potere le istanze locali. Questo processo però non è di tipo secessionista ma di riorganizzazione pacifica degli stati sulla base del diritto, non della forza o della prepotenza. Questo dovrebbe valere dentro la rinnovata Unione europea e fuori, senza che ci sia il veto degli stati attuali.
Le istanze indipendentiste e regionaliste spesso confondono il desiderio di autonomia e autodeterminazione con il federalismo, non riconoscendo la necessità di cooperazione su questioni di interesse comune ma postulano esclusivamente il secessionismo, la divisione.
La visione kantiana della pace perpetua attraverso il diritto internazionale sottolinea l'importanza di una gradualità nell'approccio federale, includendo la necessità di una difesa comune durante le transizioni verso un'integrazione completa. Questo significa che per quanto mi riguarda la proposta di progetto ReArm Europe non ha nulla di federalista poichè, come in tanti hanno messo in evidenza, esso presuppone esclusivamente un potenzialmento degli eserciti nazionali mentre, se si guarda anche al progetto di CED (Comunità Europea di Difesa), il problema fondamentale era quello di pervenire a un unico coordinamento con un risparmio di costi gigantesco in termini umani, tecnologici ed economici.
Per come si è evoluto il mondo d'oggi sono sempre meno i giovani che amano indossare una divisa militare, soprattutto se la prospettiva è quella di andare a combattere per colpa di gente che pensa solo ad approfittare degli altri. Un conto è decidere di arruolarsi liberamente, altra cosa è la leva obbligatoria. Chi studia difficilmente pensa di andare a fare il militare poiché si vede proiettato in attività pacifiche e non bellicose. Personalmente incito i miei studenti proprio a questo e considero una delusione quando, invece, qualcuna o qualcuno si vede a vent'anni dentro una uniforme militare.
Ebbene, nonostante le sfide e le complessità presenti, mantenere una visione chiara del federalismo aiuta le persone in buona fede e quelle che non si fanno obnubilare da posizioni ideologiche preconcette a costruire una struttura che possa veramente sostenere la pace e la cooperazione a lungo termine tra le nazioni. Questo non si realizza con semplicità, ma con un impegno costante verso obiettivi comuni e il rispetto delle identità individuali all'interno di un quadro federale collettivo.

[1] Per chi vuole conoscere la storia del Movimento Federalista Europeo si veda https://www.mfe.it/port/index.php/chi-siamo/la-nostra-storia Mi onoro di aver fatto parte del MFE e di averne assunto anche incarichi di responsabilità in ambito regionale. Da sempre il MFE vuole unire e non dividere le forze favorevoli all'unità europea e, per garantirsi l’autonomia culturale, politica, finanziaria ed organizzativa, basa la sua esistenza sull'autofinanziamento e sul lavoro volontario dei militanti. Sul piano della lotta politica, il MFE rifiuta la violenza come metodo di lotta politica. Battendosi per la creazione di un nuovo assetto di potere in Europa e non per conquistare dei poteri esistenti, esso non partecipa alle elezioni, né rappresenta interessi corporativi o stabilisce discriminanti ideologiche.
[2] Sul pensiero kantiano e la sua declinazione in senso federalista si veda https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/il-federalismo-nella-storia-del-pensiero/221-immanuel-kant-secondo-articolo-definitivo-per-la-pace-perpetua
[3] Kenneth C. Wheare, “What Federal Goverment is”, Federal Tracts n. 4, Londra, Mcmillan, 1941, traduzione italiana in Il Federalista, XXXIII, 1991, pp. 74-91.
[4] Si veda in Lucio Levi, “Lo sviluppo dell’autonomia teorica del federalismo dopo la seconda guerra mondiale” in Guido Montani, Lucio Levi e Francesco Rossolillo, Tre introduzioni al federalismo, Napoli, Guida, 2005, p. 76. Per una analisi più articolata si veda l’articolo da cui ho tratto queste frasi https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/note/447-principio-di-sussidiarieta-e-stato-federale-storia-idee-e-possibili-sviluppi#_edn8
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