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Democrazia in ostaggio: bulli al potere e cittadini (troppo spesso) indifferenti

Aggiornamento: 21 set


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Viviamo in un mondo governato da bulli. Non quelli dei cortili scolastici, ma leader politici che parlano con voce grossa, intimidiscono gli avversari, semplificano i problemi riducendoli a slogan muscolari, e spesso trasformano la violenza verbale e militare in strumenti ordinari di potere. Ma il punto decisivo è che non sono soli. Ogni bullo trova legittimazione in cittadini che, per paura, stanchezza o disillusione, preferiscono la scorciatoia dell’aggressività alla fatica della democrazia.


Il bullismo politico non nasce quindi in un vuoto: prospera quando l’arena pubblica è caratterizzata da bassi livelli generali di partecipazione. Tale vuoto cognitivo e sociale rende più facile manipolare, polarizzare, sintonizzare il conflitto come norma, e favorisce la legittimazione di leader che usano la paura, la semplificazione, la delegittimazione come strumenti di potere.


In organizzazioni e imprese, sappiamo che la leadership autoritaria o paternalista genera poco valore nel lungo termine. Il vero valore nasce da leader che generano fiducia, partecipazione, responsabilità condivisa — principi che il bullismo politico nega.


Il bullismo come linguaggio politico

Il bullismo politico si manifesta ovunque con tre tratti comuni:

  1. Linguaggio aggressivo e delegittimante, che trasforma l’avversario in nemico.

  2. Uso della forza, verbale, economica o militare, come strumento ordinario di governo.

  3. Complicità collettiva, quando i cittadini tacciono o approvano, normalizzando comportamenti che erodono la democrazia.


Come ricordano Levitsky e Ziblatt (How Democracies Die, 2018), le democrazie raramente cadono per colpi di stato: spesso muoiono lentamente, quando i cittadini stessi scelgono di legittimare chi mina le regole del gioco dall’interno.


I bulli del nostro tempo

Gli esempi non mancano e si trovano in ogni continente:

  • Trump negli Stati Uniti, con l’aggressione sistematica a media e istituzioni e la pretesa di sentirsi arbitro delle vicende mondiali nonchè la distorsione di fatti e dati funzionali a una politica economica che crea tensioni in tutto il mondo.

  • Putin in Russia, che ha trasformato la guerra in Ucraina in strumento di consenso, fondata sul timore costruito ad arte della volontà degli europei di conquistare territorio russo quando invece è lui che finora ha terrorizzato i propri confinanti e conquistato con la forza e la menzogna altri territori indipendenti.

  • Orbán in Ungheria, con la sua “democrazia illiberale” che limita ONG e media.

  • Meloni in Italia, che usa la polarizzazione e la semplificazione estrema come leva politica.

  • Netanyahu in Israele, che giustifica massacri a Gaza in nome della sicurezza nazionale, permettendo ai coloni israeliani di sottrarre territorio ai palestinesi nella Cisgiordania e portando avanti un vero e proprio genoicidio del popolo palestinese.

  • Xi Jinping in Cina, che mantiene Taiwan sotto costante minaccia.

  • Modi in India, che discrimina le minoranze musulmane nel Kashmir.

  • Bolsonaro, Erdoğan, Ortega, al-Sisi: altre varianti del bullismo, dall’America Latina al Medio Oriente.


La tabella comparativa che accompagna questo articolo mostra come il bullismo politico sia un fenomeno globale e trasversale: presente tanto in regimi autoritari quanto in democrazie fragili o mature. Per rendere evidente la diffusione globale del fenomeno, qui di seguito sintetizzo modalità, strumenti e consenso dei principali bulli politici contemporanei.

Leader

Paese/ Regione

Modalità di bullismo politico

Legittimazione sociale

Esempi concreti

Donald Trump

USA

Linguaggio aggressivo, delegittimazione delle istituzioni e dei media

Ampio sostegno popolare che percepisce la democrazia come inefficace

Attacco al Congresso (6 gennaio 2021), “fake news” come nemici del popolo

Vladimir Putin

Russia

Autoritarismo centralizzato, uso della forza militare

Nazionalismo e propaganda che dipingono la Russia come “fortezza assediata”

Invasione dell’Ucraina (2022), repressione oppositori

Viktor Orbán

Ungheria

Erosione delle istituzioni democratiche, attacchi a UE e migranti

Legittimazione elettorale continua

“Democrazia illiberale”, restrizioni a ONG e media

Giorgia Meloni

Italia

Retorica divisiva, semplificazione estrema, identità contro “nemici” interni/esterni

Elettorato insofferente verso compromessi democratici

Campagne contro ONG migranti, linguaggio polarizzante

Benjamin Netanyahu

Israele

Militarizzazione politica, disumanizzazione del nemico

Consenso interno basato sulla sicurezza

Bombardamenti su Gaza, giustificati come difesa nazionale

Xi Jinping

Cina

Pressione militare e diplomatica, bullismo geopolitico

Consenso costruito su orgoglio nazionale e propaganda

Minacce a Taiwan, repressione Hong Kong e uiguri

Narendra Modi

India

Nazionalismo religioso, discriminazione delle minoranze

Ampio sostegno della maggioranza hindu

Revoca autonomia Kashmir (2019), persecuzioni musulmani

Jair Bolsonaro

Brasile

Negazionismo, linguaggio aggressivo, delegittimazione oppositori

Consenso tra élite economiche e settori conservatori

Minimizzazione del Covid-19, attacchi ad ambientalisti e indigeni

Recep Tayyip Erdoğan

Turchia

Accentramento di potere, persecuzione oppositori, islamismo politico

Appoggio popolare e militare

Repressione dopo golpe 2016, attacchi a curdi

Daniel Ortega

Nicaragua

Autoritarismo familiare, annientamento opposizione

Controllo totale dello Stato

Arresti arbitrari, manipolazione elezioni

Abdel Fattah al-Sisi

Egitto

Repressione militare, bullismo istituzionale

Legittimazione attraverso paura del caos

Carcerazioni di massa, restrizioni libertà civili

Bullismo e leadership: il paradosso del comando senza valore

Nelle scienze organizzative moderne, la leadership non è più identificata con il comando autoritario o paternalista, ma con la capacità di mobilitare energie, stimolare partecipazione e generare valore condiviso. Approcci come la servant leadership (Greenleaf, 1977), la transformational leadership (Bass & Riggio, 2006) o la distributed leadership mostrano che il leader efficace non impone, ma facilita processi di apprendimento e co-creazione.


In politica, vale lo stesso: le democrazie mature hanno bisogno di leader che costruiscano fiducia e capitale sociale (Putnam, 2000). Il bullo fa il contrario: divide, intimorisce, concentra potere. Non crea valore, lo consuma. Ecco perché il bullismo politico non è solo un problema etico, ma anche un fallimento strategico e manageriale: garantisce vittorie di breve periodo, ma mina la sostenibilità di lungo termine di imprese, comunità e Stati.


Il silenzio delle persone perbene

Il problema, come scritto in premessa, non è solo l’esistenza dei bulli al potere, ma il silenzio di quella parte di cittadini che potremmo chiamare “persone perbene”. Probabilmente sono maggioranza, eppure troppo spesso rimangono silenti o si estraniano dai processi decisionali. Perché?


In Italia, questo fenomeno, cresce a dismisura: i dati rendono sempre più drammatica la distanza tra cittadini e politica. Secondo l’ultimo Stat-Focus ISTAT (2024), la partecipazione politica invisibile — informarsi, discutere, seguire dibattiti — è in marcato declino: meno della metà della popolazione italiana con più di 14 anni dichiara di informarsi settimanalmente, e solo circa un italiano su dieci ascolta dibattiti politici settimanalmente. Gli effetti più evidenti si registrano tra i giovani (14-24 anni), che mostrano i più bassi livelli di informazione, e tra le persone con titolo di studio medio-basso. Nel Sud e nelle Isole la situazione è ancora peggiore: percentuali significativamente più alte di cittadini non si informano mai, rispetto al Nord e al Centro. Se quindi informarsi è diventato una rarità, parlare (o denunciare, o partecipare) diventa ancora più difficile, nel silenzio o nella paura.


Le ragioni sono molteplici:

  • Frustrazione, l’idea che “tanto non cambia nulla”.

  • Delusione verso istituzioni e partiti che hanno tradito promesse.

  • Disillusione democratica, che fa percepire la democrazia come inefficiente o manipolata (Crouch, Postdemocrazia, 2003).

  • Paura di esporsi in un clima aggressivo.

  • Individualismo, che riduce l’impegno civico al “pensare a sé”.

  • Stanchezza cognitiva, davanti alla complessità dei processi democratici.

  • Effetto social media, che amplifica i toni estremi e marginalizza i discorsi ragionevoli.

  • Rassegnazione storica, l’idea che “è sempre stato così”.


Queste motivazioni, sommate, costruiscono la complicità silenziosa che permette al bullismo di diventare metodo di governo.


La necessità della ribellione

Ecco perché non basta denunciare i bulli: occorre una ribellione civile e culturale delle persone perbene. Non parlo di rivoluzioni violente, ma di una scelta quotidiana di responsabilità: informarsi, discutere, denunciare, partecipare, non normalizzare l’aggressività come cifra del potere. Ribellarsi vuol dire altresì che gli sforzi da fare in educazione e formazione a tutti i livelli sono il più potente antidoto sociale alla deriva culturale nella quale siamo immersi e dove, purtroppo, l'ignoranza viene promossa come virtù e non come vergogna.


Ancora, ribellarsi significa contrastare questi trend con azioni concrete. Se oggi, come mostra ISTAT, più della metà della popolazione non discute di politica né si informa con regolarità, l’impegno civico può cominciare da piccoli gesti: leggere fonti attendibili, partecipare a discussioni locali, sostenere trasparenza istituzionale. Non è utopia: è una strategia contro l’indifferenza. Perché l’indifferenza non è solo morale, ma sociale, culturale; non è passiva, ma materiale: il silenzio degli informati assenti è la base sulla quale crescono i bulli.


Come scriveva Albert Camus (L’uomo in rivolta, 1951), la ribellione comincia quando l’essere umano dice “no” all’ingiustizia, ma in quel “no” afferma anche un “sì” alla dignità comune. È questo “sì” che oggi manca nel dibattito pubblico, soffocato dal rumore dei bulli e dal silenzio della maggioranza.


Un appello

Se davvero le persone perbene sono maggioranza, allora il futuro non può essere lasciato in mano a chi usa il bullismo come strumento di potere. Il silenzio non è neutrale: è complicità.


Gramsci ci ammoniva: «L’indifferenza è il peso morto della storia. Con essa si agisce passivamente, si lascia che il male trionfi. Odio gli indifferenti.» Oggi questo significa che tacere equivale a consegnare il potere ai bulli. Se vogliamo leader autentici, capaci di creare valore e non di distruggerlo, dobbiamo trasformare la maggioranza silenziosa in maggioranza attivao governato dai bulli, non perché più forti, ma perché gli altri hanno scelto di tacere.


Per approfondire

Il tema del bullismo politico, della fragilità democratica e della responsabilità collettiva è stato affrontato sia da studiosi di scienza politica, sociologia e filosofia, sia da fonti giornalistiche internazionali che documentano i casi più recenti. Qui una selezione essenziale:

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