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Il turismo non salverà i paesi. Ma può renderli desiderabili

Contro la retorica dei mantra e per una visione responsabile del turismo nei territori fragili

Ollolai
Ollolai

Viviamo in un’epoca di formule ripetute, slogan circolari, parole che rassicurano più che trasformano. È il tempo dei mantra dello sviluppo, enunciati che sembrano portatori di verità indiscutibili solo perché vengono ripetuti ovunque, da chiunque, in ogni contesto.

Tra questi, uno dei più diffusi è:

“Il turismo è il volano dello sviluppo.” Oppure, in una delle sue varianti più seducenti:“Grazie al turismo si potrà contrastare lo spopolamento delle aree interne.”

Ma evocare un mantra non basta perché la realtà cambi. Ripetere una formula non equivale a progettare, né tantomeno a trasformare. Le parole, se non sono seguite da azioni coerenti, rischiano di diventare vuoti rituali linguistici (Meyer & Rowan, 1977), simboli più di appartenenza che di innovazione.


Turismo e spopolamento: un nesso da smontare

Chi l’ha detto, davvero, che il turismo può invertire la tendenza allo spopolamento? Dove sono i dati che dimostrano un nesso stabile e strutturale tra flussi turistici e crescita demografica?


La verità è che molti territori turistici continuano a perdere abitanti, nonostante l’aumento di presenze. Perché il turismo genera, per sua natura, presenze temporanee, non stanzialità. E questo vale ancora di più per un turismo orientato all’evento, alla sagra, alla breve vacanza.


Al tempo stesso, c’è nel mondo una domanda crescente — reale, non solo enunciata — di persone alla ricerca di luoghi vivibili, tranquilli, autentici: luoghi in cui restare, non solo da visitare. Sono nomadi digitali, lavoratori da remoto, famiglie in fuga dalle grandi città, pensionati in cerca di qualità della vita. Ma questa domanda non è rivolta agli alberghi né ai B&B: chiede case in cui abitare, connessione veloce, conoscenza delle lingue, accesso ai servizi fondamentali, comunità accoglienti. Ce lo racconta bene Lucio Pascarelli, oggi residente a Gavoi, profondo conoscitore del fenomeno: chi arriva nei paesi sardi non cerca un’offerta turistica tradizionale, ma un ecosistema abitabile.


E qui sta il nodo: non è il turismo a contrastare lo spopolamento, se non in via del tutto marginale. È la capacità di un territorio di essere desiderabile per viverci che può fare la differenza. Il turismo, semmai, può essere la porta d’ingresso, la prima scintilla. Ma non può essere scambiato per una politica demografica.


Il rischio della retorica: quando le parole si allontanano dai fatti

Quando si propone il turismo come “la” soluzione, si rischia di alimentare aspettative irrealistiche nei cittadini e illusioni pericolose negli operatori. Si finisce per pensare che basti aprire un B&B, organizzare una festa, partecipare a una fiera per cambiare le sorti di un paese. Ma non funziona così. Il turismo, da solo, non crea lavoro stabile né ripopola le scuole, né risolve i problemi strutturali delle aree interne. Al contrario, può diventare un’attività effimera, povera, precaria, se non inserita in una strategia ampia, capace di mettere al centro le persone e non solo i visitatori.


Inoltre, questa narrazione deresponsabilizza la politica pubblica. Se tutto si risolve col “turismo”, allora si può trascurare la scuola, la sanità, la connessione internet, le politiche abitative, la mobilità interna. In realtà, sono proprio questi i prerequisiti dell’abitabilità, e dunque anche della possibilità che un turista torni, resti, diventi residente.


Dalla retorica alla responsabilità

Come studioso e docente di marketing turistico, sento la responsabilità di dire questo: non si serve un territorio alimentando illusioni, ma aiutando chi ci lavora a comprendere meglio il proprio ruolo.Il turismo può e deve essere una leva relazionale, culturale, economica, ma non è una formula magica. Deve essere progettato, governato, integrato in un disegno più ampio che coinvolge scuola, sanità, casa, lingua, reti di relazione, diritti. Solo così può diventare un servizio autentico, rivolto a chi sceglie di incontrarci, vivere con noi, conoscere la nostra lingua e le nostre tradizioni, e non solo "visitare" la nostra terra.


Il turismo non salverà i paesi. Ma può aiutarli a ritrovare un senso, a raccontarsi meglio, a creare connessioni.Non come mantra, ma come cammino.

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