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L’inganno del mantra meritocratico

Aggiornamento: 7 giu 2020

Il dibattito politico e sociale degli ultimi anni ha avuto nella meritocrazia uno dei suoi temi principali. Essa viene da molti (forse tutti) invocata quale criterio fondamentale al quale ispirarsi per restituire efficienza ai diversi sistemi organizzativi, sia pubblici che privati. Anzi, sopratutto nel pubblico si afferma che si dovrebbe adottare il sistema meritocratico così come avviene nel privato, ritenendo più o meno esplicitamente che fino ad ora abbiano operato solo altri criteri poco consoni a una società evoluta.


Una tesi come questa è molto affascinante ed efficace per fare presa sulla gente, è una tesi forte alla quale diventa difficile opporre considerazioni che non siano riconducibili alla clientela, all’inefficienza, all’assistenzialismo, alla corruttela, al familismo, ecc..


Ma siamo sicuri che sia giusto così? O, meglio, che solo un sistema puramente competitivo basti per restituire efficienza ed efficacia ai sistemi organizzativi e credibilità al sistema di governo delle pubbliche istituzioni?


Intanto questa continua comparazione tra sistema pubblico e sistema privato, assumendo il secondo come paradigmatico per il primo, non è di per sé logico e neppure appropriato. Se pubblico e privato debbono operare in modo identico non avrebbe neppure senso la distinzione. Evidentemente una differenza esiste e la prima e più importante è costituita dalle finalità: pubbliche in un caso e private nell’altro. Le finalità pubbliche riguardano la collettività, una pluralità di individui in quanto tali, nel secondo caso, invece, si tutela un interesse privato, di pochi.


Ciò che voglio osservare è che, purtroppo, è diventata prassi gestire la cosa pubblica secondo interessi privati, molto di parte, a dispetto del mantra meritocratico e della ricerca dell'eccellenza diventata l'ossessione di chi, in verità, la usa a proprio piacimento con criteri che sono non di rado addomesticati alla bisogna. Non a caso, per esempio, le cariche elettive sono ambite da chiunque, spesso anche da chi non ha alcun requisito di merito se non la capacità di procurarsi voti.


A mio modo di vedere, ogni qualvolta si utilizza solo il criterio del merito per poter valutare proposte, progetti, assunzioni, candidature, ecc. accade che, se ci si pensa bene, il merito dipende dalla definizione iniziale dei criteri di selezione, poi, definiti questi si procede alla valutazione delle proposte/progetti/candidati, ecc. in funzione del rispetto di questi criteri: chi in una graduatoria comparativa li rispetta maggiormente, risulta più meritevole. Direte voi: cosa c'è che non va? Sembra tutto chiaro, legittimo, trasparente, o no?


Insomma, non è proprio così e spiego perché.


La prima considerazione è che chi definisce i criteri spesso conosce i candidati e chi può garantire che questi non siano definiti a misura di qualcuno di questi e a scapito di qualcun altro? Come si fa a escludere a priori che nel definire i criteri questi siano formulati a misura di uno e non dell'altro, perché magari se proprio tu che stai sulle scatole di chi decide o, più semplicemente, non rientri nelle sue strategie di potere? Questo può voler dire che se prevale il criterio a, per esempio, allora tizio è primo e caio secondo, mentre se si usa il criterio b, la graduatoria potrebbe invertirsi. Ecco, di giochetti come questi ne sono accaduti in passato e ne accadono ancora oggi. C'è poi chi ha pure il coraggio di dirti "guarda che non funziona più come una volta", dando per scontato che ciò che è stato fatto in passato sia sempre stato sbagliato. Mi chiedo, questa sarebbe la meritocrazia?


Ancora, una seconda considerazione appartiene al fatto che, come sarebbe facile verificare in molti casi, in un sistema esclusivamente competitivo il vincente sia sempre lo stesso o gli stessi. Il risultato di quanto indicato è quello che tempo fa mi disse una imprenditrice: “io partecipo a tutti i bandi ma arrivo sempre seconda”. La verità è che, soprattutto negli ultimi anni, il mantra mistificato del merito a tutti i costi ha fatto sì che bandi, concorsi, ecc. siano sempre vinti dagli stessi, che fanno “razzia” di tutte le risorse disponibili: questo vale nei bandi pubblici statali, regionali, e di altre organizzazioni pubbliche.


Stanti queste situazioni, mi chiedo e chiedo: è giusto? E’ questo il sistema che si ha in mente? E’ questo il sistema che garantisce il miglioramento complessivo della qualità di un determinato contesto territoriale? E' questa la meritocrazia?


Per me no. Io vedo pochi arricchiti e molti scontenti, sempre di più, alcuni dei quali, in virtù dell'applicazione ossessiva di questo mantra, faticano persino ad arrivare a fine mese. E, si badi bene, non parlo solo di povera gente, parlo di imprese, di professionisti (commercialisti, avvocati, ingegneri e architetti, ecc.), di gente che ha studiato, ha superato esami, abilitazioni scientifiche e professionali, che si fa quotidianamente il "mazzo" per migliorarsi e per restituire ai propri utenti il miglior servizio possibile.



Allora occorre chiarire che il merito è certamente un requisito importante ma non essendo un dato oggettivo come credo di aver dimostrato, esso deve essere “corretto” con un altro criterio che si chiama equità.


L’equità, che non è contraria al merito, si basa sul fatto che, invece, in un contesto sociale, tutti devono avere il diritto di migliorarsi e tutti devono poter ambire a ottenere risultati gratificanti e migliorare la propria posizione sociale. In altre parole, se qualcuno si impegna per migliorare se stesso, concorre a migliorare anche il contesto in cui opera e, pertanto, anch'egli ha diritto a vedere riconosciuto questo progresso, perché tale è.


Se non si capisce questo (o non lo si vuole capire perché obnubilati dal mantra dell'eccellenza, come se si dovesse sempre gareggiare per vincere le olimpiadi o il premio Nobel) e non si adottano provvedimenti volti a garantire equità, cioè opportunità di crescita per tutti quelli che hanno i requisiti per svolgere un determinato lavoro, accadrà che saranno sempre gli stessi a meritare di vincere e altri, pur meritevoli, saranno sempre secondi, terzi o quarti, decimi o forse non vedranno mai riconosciuto questo impegno, perchè per loro non ci saranno mai risorse, occasioni di lavoro, occasioni per vedere riconosciute le proprie capacità. Penso per esempio all'ambito in cui lavoro: oggi in Italia due terzi di quanti hanno superato l'esame di abilitazione (per diventare professori associati o ordinari) rischiano di non vedere mai riconosciuto questo miglioramento perché, con la scusa della scarsità delle risorse, queste verranno utilizzate a beneficio solo di quanti hanno il potere di deciderne la destinazione, con tutto ciò che comporta sulla base di quanto indicato in precedenza. Ma di questi casi ce ne sono, purtroppo, tantissimi in diversi ambiti (tra tutti penso per esempio ai bandi regionali o a quelli statali).


Ecco, io sono per mettere d'accordo merito ed equità. Solo il primo crea disparità e molte iniquità, inaccettabili, insopportabili, arroganti, ingiuste. Bisogna a mio parere istituire delle regole tali per cui, per esempio (ed è solo un esempio), chi ha già preso salta uno o due giri o anche tre se necessario, oppure, in altri casi, si realizza una calendarizzazione trasparente, perché tutti coloro che hanno ottenuto un titolo possano vederlo legittimato da avanzamenti di carriera, proprio perché tutti i meritevoli devono avere diritto di continuare ad esistere e vedere riconosciuto il proprio impegno e la propria serietà professionale. Se invece si sbandiererà solo il merito o la fantomatica eccellenza per avvallare iniquità di varia natura, avranno vinto, ancora una volta, l’arroganza e la prepotenza, ma non la giustizia e l’equità.

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