Premessa
La biodiversità rappresenta uno dei pilastri fondamentali per lo sviluppo sostenibile di una società. Essa si manifesta non solo attraverso la varietà delle specie viventi e degli ecosistemi, ma anche come concetto trasversale che abbraccia diversi ambiti, dalla cultura all'economia, finanche alla politica.
In quest'ottica, la biodiversità diventa un fattore di competitività essenziale, capace di generare valore non solo per il territorio che la ospita, ma anche per l'intera comunità globale[1]. Al contrario, i processi di standardizzazione e omologazione, spesso associati alla globalizzazione, rischiano di impoverire questa ricchezza, limitando la capacità di adattamento e innovazione delle società.
1. Biodiversità economica: un modello di sviluppo equilibrato
In ambito economico, la biodiversità di un territorio può essere interpretata come la diversificazione delle attività produttive[2], così come per una singola impresa, la biodiversità può essere espressa dalla capacità dell’impresa di mettere a punto un modello di business diversificato per mercati, obiettivi e risorse.
Se si considera un territorio, il fatto che esso investa, sulla base di una visione illuminata del proprio organo di governo (inteso quest’ultimo in senso sistemico-vitale[3]) in modo equilibrato nei settori primario, secondario e terziario crea un ecosistema economico resiliente e capace di affrontare le sfide globali. Questa diversificazione permette di mitigare i rischi derivanti da una eccessiva dipendenza da un singolo settore, promuovendo allo stesso tempo l'innovazione. Ad esempio, un territorio che combina agricoltura sostenibile, industria tecnologicamente avanzata e servizi innovativi, come il turismo esperienziale e la ricerca scientifica, può posizionarsi come un leader competitivo nel mercato globale.
Il concetto di biodiversità economica richiama anche l'importanza delle piccole e medie imprese (PMI), che rappresentano una componente vitale dell'ecosistema socio-economico locale. Esse contribuiscono alla diversificazione del tessuto produttivo, portando innovazione e flessibilità, e spesso fungono da custodi delle tradizioni locali, integrando queste ultime con tecnologie moderne[4].
Nondimeno, occorre anche evidenziare come, sul piano prettamente economico-aziendale, ogni forma di riduzione a uno o a pochi dei rapporti economici sia estremamente rischioso: lo è quando ci si affida a un solo prodotto, a un solo cliente o a un solo fornitore. La diversificazione del rischio, invece, rappresenta, un baluardo fondamentale per fare impresa. A titolo di esempio, si considerino le imprese del settore caseario della Sardegna che per molto tempo, troppo tempo, si sono affidate a un solo prodotto, il pecorino romano. La conseguenza è stata e ancora oggi lo è che se per caso si riduce la domanda di questo bene i prezzi crollano e, in ogni caso, il rischio maggiore ricade sugli allevatori che producono il latte.
Ora, immaginate cosa potrebbe accadere alle nostre imprese che negli ultimi anni hanno investito solo o prevalentemente nel pecorino romano se troveranno attuazione (come è probabile) le politiche daziarie di Trump promesse nella sua campagna elettorale. È colpa del presidente degli USA o c’è ingenuità (per essere gentili) da parte di chi invece si è ostinato a continuare a fare ciò che ha sempre fatto e che, tra l’altro, non richiede grandi competenze imprenditoriali e manageriali? Di converso, i caseifici che invece hanno diversificato, hanno innovato, hanno creato un portafoglio prodotti capace di intercettare le diverse e mutevoli esigenze del mercato potranno difendersi meglio e, altro aspetto da non sottovalutare, sposteranno la competizione dal prezzo del prodotto alla qualità dello stesso, riuscendo in questo modo a spuntare condizioni di mercato migliori.
Da qui l'importanza di riscoprire, tutelare, valorizzare e promuovere le specificità agricole e alimentari che si sono perdute nel tempo: vini autoctoni, legumi, ecc.
Ecco un esempio di alcuni prodotti autoctoni della Sardegna
Legumi | Vitigni |
Fava | Cannonau |
Fagiolo Bianco di Terraseo | Vermentino |
Fagiolo Tianese | Carignano |
Fassoneddu Corantinu | Monica |
Cece di Logudoro | Cagnulari |
Cicerchia Sarda (Inchixa) | Arvisionadu (o Arvesiniadu) |
Lenticchia Nera di Calasetta | Bovale |
Malvasia di Bosa | |
Nasco | |
Moscato | |
Vernaccia di Oristano |
2. La biodiversità culturale: un patrimonio da valorizzare
La biodiversità si esprime anche in ambito culturale: le identità culturali e le tradizioni locali rappresentano una risorsa unica che può essere trasformata in un vantaggio competitivo per i territori che le sanno riconoscere, tutelare attraverso lo studio sistematico, valorizzare e promuovere. In un mondo sempre più globalizzato, dove prevalgono modelli culturali standardizzati, la salvaguardia e la valorizzazione delle diversità culturali diventano un atto di resistenza, antifragile per usare le parole di Nicholas Taleb[5], e, al contempo, una strategia di differenziazione[6].
Eventi culturali, musei, percorsi enogastronomici e festival locali possono essere strumenti per promuovere questa diversità, attirando turisti alla ricerca di esperienze autentiche e uniche. Tuttavia, tali iniziative devono essere valutate attentamente in termini di costi e benefici, garantendo che producano valore sia per gli operatori economici coinvolti sia per la comunità locale, in linea con il vincolo di economicità.
La biodiversità culturale si manifesta quindi nella varietà delle tradizioni, ma anche delle lingue e delle storie locali e rappresentano un patrimonio inestimabile per i territori. Questa diversità non solo arricchisce il tessuto sociale e identitario, ma costituisce un elemento strategico di differenziazione e competitività, particolarmente rilevante in un contesto globalizzato dove la standardizzazione rischia di appiattire le specificità locali.
Lo studio approfondito della storia dei singoli territori è fondamentale per comprendere e valorizzare le peculiarità che li contraddistinguono. Ogni territorio ha una propria narrazione storica, fatta di eventi, personaggi e processi che ne hanno plasmato l’identità. Questi elementi rappresentano una risorsa unica che può essere utilizzata per:
Costruire un’identità distintiva: Le comunità che conoscono e valorizzano la propria storia sono in grado di differenziarsi nel panorama globale. Questo è particolarmente importante per attrarre un turismo consapevole, interessato a vivere esperienze autentiche e radicate nel territorio.
Creare prodotti culturali unici: Mostre, musei, percorsi storici, festival e altre iniziative culturali basate sulla storia locale possono trasformarsi in prodotti turistici di successo, contribuendo allo sviluppo economico del territorio.
Un esempio emblematico è il caso della Sardegna, dove la storia millenaria dei nuraghi, delle civiltà preistoriche e del periodo giudicale, con figure come Eleonora d’Arborea, rappresenta un capitale culturale che può essere trasformato in un potente attrattore turistico e identitario[7].
Analogamente, le lingue minoritarie sono uno degli elementi più rappresentativi della biodiversità culturale[8]. Esse non sono solo strumenti di comunicazione, ma anche depositarie di tradizioni, conoscenze e visioni del mondo uniche. La loro tutela e valorizzazione possono generare molteplici benefici:
Identità e coesione sociale: La lingua è un fattore fondamentale di identità. Mantenere viva una lingua minoritaria rafforza il senso di appartenenza e la coesione delle comunità che la parlano.
Competitività turistica e culturale: Le lingue minoritarie, integrate in offerte turistiche e culturali, rappresentano un valore aggiunto. Eventi come festival linguistici, laboratori di lingua per turisti e la produzione di contenuti multimediali in lingua locale (film, musica, letteratura) possono attirare un pubblico interessato alla diversità culturale.
Innovazione linguistica e tecnologica: La digitalizzazione delle lingue minoritarie attraverso piattaforme di traduzione, app educative e contenuti multimediali è un modo innovativo per preservarle e promuoverle, rendendole accessibili a nuove generazioni e a un pubblico globale.
3. Standardizzazione e omologazione: i rischi per la competitività
L'opposto della biodiversità è rappresentato dai processi di standardizzazione e omologazione, che spesso mirano all'efficienza produttiva e alla massimizzazione dei profitti nel breve termine. Tuttavia, questi processi portano con sé rischi significativi.[9] In primo luogo, l'omologazione riduce la capacità di adattamento dei sistemi economici e culturali ai cambiamenti esterni, rendendoli più vulnerabili alle crisi. In secondo luogo, essa limita le possibilità di innovazione, che nascono spesso dall'interazione tra diverse discipline, culture e settori economici.
Nel settore agricolo, ad esempio, la standardizzazione delle colture ha portato alla perdita di varietà locali, con conseguenze negative sulla resilienza degli ecosistemi e sulla sicurezza alimentare. Analogamente, in ambito culturale, l'omologazione delle pratiche e dei modelli artistici rischia di appiattire la ricchezza espressiva delle diverse comunità.
4. Biodiversità e vincolo di economicità
La tutela e la valorizzazione della biodiversità, sia naturale che culturale ed economica, devono sempre considerare il vincolo di economicità. Ogni iniziativa deve essere valutata in termini di costi e benefici, non solo dal punto di vista dell'impresa, ma anche in un'ottica di impatto sociale e ambientale[10]. Questo approccio permette di bilanciare le esigenze di sostenibilità con quelle di competitività, garantendo che i progetti siano non solo economicamente sostenibili, ma anche capaci di generare valore condiviso.
Un esempio concreto è rappresentato dai progetti di turismo sostenibile, che mirano a valorizzare le risorse naturali e culturali di un territorio senza comprometterne l'integrità. Questi progetti, se ben progettati, possono generare benefici economici significativi per la comunità locale, contribuendo allo stesso tempo alla conservazione del patrimonio territoriale.
5. Biodiversità come resistenza alla globalizzazione
In ultima analisi, la biodiversità rappresenta una forma di resistenza alla globalizzazione. Promuovere e tutelare la diversità, in tutte le sue forme, significa opporsi alla logica dell'omologazione che spesso caratterizza i processi globali.[11] Tuttavia, questa resistenza non deve essere intesa come un rifiuto della globalizzazione, ma piuttosto come una strategia per navigarla in modo sostenibile e competitivo.
In conclusione, la biodiversità, intesa come varietà e diversificazione, è un bene comune che deve essere tutelato e valorizzato. Essa rappresenta non solo una fonte di ricchezza culturale e naturale, ma anche un fattore chiave per la competitività economica e la resilienza delle comunità. Sostenere la biodiversità significa investire in un futuro più sostenibile, equo e prospero.
Ci sarebbe un’altra dimensione ancora cui applicare la biodiversità: quella della politica. Di questo però tratterò in un articolo a parte.
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Citazioni bibliografiche
[1] Sul ruolo della biodiversità per lo sviluppo sostenibile, si veda Nijkamp, P., & Vindigni, G. (2003). Biodiversity and economic valuation: Exploratory applications. Cheltenham: Edward Elgar Publishing.
[2] Per un'analisi delle dinamiche di diversificazione economica, si veda Porter, M. E. (1990). The Competitive Advantage of Nations. New York: Free Press.
[3] Sull’approccio sistemico vitale si considerino i contributi fondamentali di: Barile, S. (2009). Management sistemico vitale. Decidere in contesti complessi. Torino, Italia: Giappichelli; Barile, S., Saviano, M., & Polese, F. (2012). Modelling viable systems and their dynamics. Systems Research and Behavioral Science, 29(6), 607-619. https://doi.org/10.1002/sres.2156; Golinelli, G. M. (2010). Viable systems approach (VSA): Governing business dynamics. Padova, Italia: Cedam; Polese, F., & Caputo, F. (2016). Smart service systems, value co-creation, and sustainability: Toward a framework based on viable systems approach (VSA). Service Science, 8(1), 18-31. https://doi.org/10.1287/serv.2016.0121; Saviano, M., & Barile, S. (2016). From theory to practice: Applying systems thinking to sustainable business models. Sustainability Science, 11(6), 891-906. https://doi.org/10.1007/s11625-016-0381-8
[4] Su PMI e diversificazione, vedi OECD (2019). Strengthening SMEs and Entrepreneurship for Productivity and Inclusive Growth. Parigi: OECD Publishing.
[5] Taleb, N. N. (2012). Antifragile: Things that gain from disorder. New York, NY: Random House. Versione italiana:
Taleb, N. N. (2013). Antifragile: Prosperare nel disordine (A. Di Gregorio, Trad.). Milano, Italia: Il Saggiatore. (Opera originale pubblicata nel 2012).
[6] Per un approfondimento sul valore delle diversità culturali nel contesto globale, vedi UNESCO (2001). Universal Declaration on Cultural Diversity. Parigi: UNESCO. In ambito marketing si veda Morgan, N. A., Whitler, K. A., Feng, H., & Chari, S. (2019). Research in marketing strategy. Journal of the Academy of Marketing Science, 47(1), 4-29.
[7] Per un'analisi della valorizzazione del patrimonio culturale sardo, vedi Contu, E. (2017). La Sardegna e il suo patrimonio culturale: Storia e valorizzazione. Sassari: Edes.
[8] Sul ruolo delle lingue minoritarie, si veda Crystal, D. (2000). Language Death. Cambridge: Cambridge University Press. Fondamentale è poi la Risoluzione dell'UE sulle lingue minoritarie https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/142/la-politica-linguistica#:~:text=Il%207%20febbraio%202018%20il,all'interno%20dell'UE.
[9] Stiglitz, J. E. (2002). Globalization and Its Discontents. New York: W.W. Norton & Company.
[10] Per un'analisi costi-benefici delle iniziative di sostenibilità, si veda Freeman, R. E., Harrison, J. S., & Wicks, A. C. (2007). Managing for Stakeholders: Survival, Reputation, and Success. New Haven: Yale University Press.
[11] Sulle strategie di resistenza culturale alla globalizzazione, vedi Appadurai, A. (1996). Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization. Minneapolis: University of Minnesota Press.
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