Premessa
Oggi 2 giugno la Repubblica italiana compie 75 anni. In questa giornata si ricorda l’esito del referendum che si svolse domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946 per determinare la forma di Stato da dare all’Italia dopo la seconda guerra mondiale. I cittadini furono chiamati a decidere se avesse dovuto rimanere una monarchia o diventare una repubblica.
Fortunatamente i cittadini scelsero la Repubblica ma i segni della monarchia sono ancora oggi presenti sia sul piano di molte leggi concepite allora, sia sul piano di tanti simboli che qualificano gli spazi pubblici, a iniziare dalla toponomastica e di alcuni monumenti dedicati alla dinastia sabauda per continuare con quel diffuso atteggiamento di riconoscimento seppure “di cortesia” di titoli nobiliari.
A fronte di quella scelta i cittadini italiani sono stati educati a considerare la Carta costituzionale che venne fuori dal processo Costituente come “la migliore del mondo”, un giudizio che risente tuttavia dell’atteggiamento materno secondo cui “ogni scarrafone e bello a mamma sua”.
Ora, essendo trascorsi 75 anni è evidente che se ci sono princìpi validi ancora oggi e meritevoli di essere mantenuti e difesi strenuamente, nel contempo occorrerebbe laicamente riflettere sulla sua capacità di rispondere alle esigenze di una società profondamente diversa da allora.
Il confronto come metodo di valutazione
Affinché la riflessione sulla Carta in vigore sia seria e non inficiata, da un lato, da “ismi” di varia natura e, dall’altro, da approcci parziali e semplificati, vorrei proporre a chi mi legge il metodo del confronto con un’altra Carta costituzionale oggi in vigore in un altro Paese, scelto sia sulla base del livello di sviluppo sociale ed economico raggiunto, sia in base alla capacità di rappresentare al livello più ampio possibile le diversità esistenti.
Questa scelta deriva dal fatto di guardare agli esempi di quanti hanno fatto e fanno meglio dell'Italia. Solo in questo modo si può imparare, con umiltà e senza crogiolarsi in un voyerismo onanistico abbastanza frequente nel “Paese dei 100 campanili”.
Per queste ragioni ho scelto di confrontare la Costituzione italiana con quella della Svizzera, paese confinante, seppure senza sbocchi al mare, non grande ma con un Prodotto interno lordo pro capite che al 2018 era 2,4 volte di quello italiano (https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_PIL_(nominale)_pro_capite).
Non essendo un giurista il confronto lo farò seguendo pedissequamente l’ordine degli articoli, perché a mio modo di vedere, anche la scelta dell’ordine dei temi trattati è un segnale di come lo stato è stato pensato.
A beneficio di chi legge, considerando che una analisi esaustiva delle due carte richiederebbe tanto spazio e tanto tempo di lettura, limiterò il confronto ai primi cinque articoli.
Il preambolo
La Figura mostra il testo del preambolo delle due Costituzioni. Come si può evincere, una prima differenza riguarda la nascita della Carta fondamentale: per l’Italia essa nasce con un atto del Capo provvisorio dello Stato, mentre per la Svizzera nasce da una presa di coscienza diffusa e congiunta del Popolo svizzero e dei Cantoni. Nel primo caso, sembra calata dall’alto, nel secondo è evidente il frutto di un processo che parte dal basso.
A proposito della Costituzione elvetica vale la pena sottolineare quanto segue:
La responsabilità congiunta di Popolo e Cantoni esprime una visione della società in cui l’uomo è parte di un ecosistema, il territorio, e quindi lo Stato non è fatto solo di persone ma coinvolge anche il resto del “creato”;
L’alleanza confederale è il prodotto di una volontà di parti differenti che si riconoscono e si rispettano reciprocamente, “in uno spirito di solidarietà e di apertura al mondo”, una alleanza che ha come presupposto quello di “vivere la loro molteplicità nell’unità”;
L’alleanza è finalizzata a “rafforzare la libertà e la democrazia” precisando però che “libero è soltanto chi usa della sua libertà”;
La forza di un popolo “si commisura al benessere dei più deboli del suoi membri”.
A me paiono sufficienti queste prime righe per capire l’ampiezza e la profondità di questi principi posti a base di un impegno solenne quale quello iscritto nella Costituzione.
Articolo 1
Un’altra particolarità che mi piace sottolineare è che la Costituzione elvetica (risalente al 1798) intitola gli articoli facendo da subito capire il contenuto e quindi facilitando persino la lettura del testo. Le norme italiane, a questo proposito, hanno un titolo solo dopo la riforma del procedimento legislativo degli anni 80, il che spiega la ragione per cui la Costituzione, come tutte le altre norme italiane coeve, non ha intitolazioni.
Il testo italiano concentra l’attenzione su diversi aspetti:
La forma di stato, una repubblica democratica alla base della quale, pertanto, c’è la partecipazione. Giova ricordare, a questo proposito e per onestà intellettuale che, nel linguaggio dei Costituenti, la Repubblica è comprensiva nel contempo del popolo, dei territori e delle Istituzioni.
Il lavoro, considerato fondamento di tale partecipazione, il che implica che senza lavoro è difficile che ci sia partecipazione e, di conseguenza, è assai improbabile che ci sia democrazia[1]. Purtroppo, è il caso di rilevare che stante l’attuale situazione di disoccupazione, l’Italia non può qualificarsi come un paese concretamente e diffusamente democratico, lo è, quanto meno, a macchia di leopardo.
La sovranità è attribuita al popolo.
L’articolo 1 della Costituzione elvetica, invece, si sofferma solo su un aspetto, quello riguardante le parti che danno origine allo Stato, il popolo e i Cantoni, elencati uno per uno, a significare identità ben precise e riconoscibili. Ancora una volta, pertanto, coerentemente con quanto indicato nel Preambolo, per l’Italia è il Capo provvisorio dello Stato che afferma come la sovranità appartenga al popolo, mentre in Svizzera sono il popolo e i Cantoni che insieme danno origine allo Stato.
A tale proposito è facile rilevare come nel caso svizzero operi l’approccio sistemico in base al quale sono le parti che danno origine al sistema mentre nel caso italiano questo non appare così evidente, anzi. Esiste la Repubblica che afferma come essa sia composta dal popolo sovrano. Forse sbaglio ma percepisco, ancora una volta, una forma di "religiosità" tale per cui si esiste in virtù di un riconoscimento che viene dall’alto e non come laicamente dovrebbe essere che sono le parti responsabili che insieme danno origine a qualcosa di nuovo e di interesse per tutti. O, quanto meno, trovo una certa ambiguità tra la dichiarazione di attribuzione al popolo della sovranità, esercitata nelle forme previste dalla legge e il fatto che troppo spesso si ha la sensazione di uno Stato distante dai cittadini, come sembra di poter affermare in base al fatto che si sta progressivamente riducendo la partecipazione popolare nelle consultazioni elettorali.
Articolo 2
In questo articolo l’Italia si sofferma sui diritti inviolabili dell’uomo, sia come individuo che come partecipante a formazioni sociali e, nel contempo, richiama ogni cittadino ai doveri, definiti inderogabili, di solidarietà politica, economica e sociale. Ovviamente, così come per l’articolo 1 in cui il lavoro, che pure è messo a fondamento della democrazia, è purtroppo appannaggio non di tutti, qui il tema dei diritti e della solidarietà rimangono a livello di enunciazione e sembra non bastino così come sono espressi per garantire tutti indistintamente, se come possiamo rilevare nascono progetti di legge per garantire specificità oggi ampiamente calpestate.
Per quanto riguarda la carta elvetica emerge ambizione e pragmatismo. Da un lato si ribadisce la libertà come valore fondamentale che è tale solo se si promuove “in modo sostenibile la comune prosperità, la coesione interna e la pluralità culturale del Paese”. Da questo punto emerge come questi aspetti siano inestricabilmente interconnessi. È come se si dicesse che non c’è libertà se non c’è sostenibilità, così come non c’è libertà se non c’è prosperità e non c’è libertà se non c’è pluralità culturale che poi, nel successivo articolo 4, trova la sua massima e formale espressione nel riconoscimento di ben quattro lingue nazionali: tedesco, francese, italiano e romancio. La Confederazione si fa garante di tale pluralità e si impegna altresì “per la conservazione duratura delle basi naturali della vita” ma anche “per un ordine internazionale giusto e pacifico”. Un impegno, quest’ultimo, sancito dalla scelta di stare tra i paesi non allineati, così da esercitare un ruolo neutrale, tanto è vero che spesso molti incontri tra Stati in conflitto si tengono proprio in sedi svizzere.
Articolo 3
In questo articolo la Carta italiana si concentra ancora sui diritti e sull’importanza della pari dignità sociale dei cittadini attribuendo alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
La Svizzera ha scelto invece di concentrarsi sulla forma istituzionale dello Stato. La Svizzera è una “federazione di Cantoni” e sono questi ultimi titolari dei diritti e del potere. Sono quindi questi che “delegano” o “attribuiscono” alla Confederazione parte di questi diritti e parte dei poteri. Il tutto coerentemente con quanto poi indicato nell’articolo 5a che tratta il tema della sussidiarietà, quel principio in base al quale diritti e doveri stanno in capo al livello più vicino possibile al cittadino.
Si potrebbe obiettare che anche la Costituzione italiana ha introdotto all'articolo 118 del Titolo V il principio di sussidiarietà ma, come si può evincere dal testo di quella norma si tratta solo di funzioni amministrative oppure di altri poteri delegati dallo Stato.
Articolo 4
Il lavoro come diritto, enunciato nell’articolo 1 del testo italiano emerge anche in questo articolo nel quale, ancora una volta, la Repubblica riconosce a tutti i cittadini “il diritto al lavoro” e sempre questa dovrebbe “promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Al cittadino compete invece il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Tutto molto bello e molto nobile, ancora una volta, salvo constatare che tutto ciò al momento è, per buona parte dei cittadini di questo Stato, solo una petizione di principio.
Articolo 5
In questo articolo si ribadisce quanto emerso in precedenza: in Italia diritti e poteri sono in capo allo Stato, considerato uno e indivisibile, mentre le parti (che pure dovrebbero essere costitutive dello Stato) diventano solo oggetto di delega amministrativa da parte dello stesso. Ecco quindi che lo Stato assurge al rango di "dogma inviolabile", al punto da diventare una vera e propria ossessione delle stesse forze politiche e degli organi di governo, tutti preoccupati di garantire e conservare l’unità attraverso l’omologazione linguistica, il richiamo continuo all’indivisibilità dello Stato, ecc., più che operare perché libertà, pluralità, partecipazione, valorizzazione delle differenze, siano il fondamento della coesione.
Al contrario la Svizzera, in questo articolo, richiama lo stato di diritto come limite all’azione dello Stato. Non solo, ma quest’ultima “deve rispondere al pubblico interesse ed essere proporzionata allo scopo”, mentre in Italia assistiamo a una massiccia e diffusa presenza dello Stato attraverso Prefetture, Soprintendenze, Rappresentanti del Governo, ecc. in cui non c’è proporzione se si pensa, tra i tanti esempi, che le municipalità non possono modificare la toponomastica senza l’autorizzazione del Prefetto che, a sua volta, deve sentire il parere della Soprintendenza.
Considerazioni conclusive
In questa breve analisi di alcuni degli articoli delle Costituzioni italiana e svizzera credo si evinca facilmente la differenza di approccio e di visione, a mio modesto parere più moderna quella elvetica, eppure i padri di questa Costituzione sono persino più antichi di quelli italiani.
Qualcuno potrebbe osservare che lo scrivente non è neutrale nel proporre questo confronto. Certo che non lo sono e non escludo che, non essendo un giurista, possa aver fatto qualche forzatura, soprattutto per quanto riguarda l'origine del potere che, penso, un costituzionalista mi direbbe che anche in Italia risiede nel popolo. Sicuramente converrei con lui ma di certo non potrebbe obiettare nulla rispetto al fatto che in un caso c'è una sorta di superiorità attribuita all'uomo, cioè solo a uno delle componenti l'ecosistema nel quale tutti siamo inseriti, mentre nella realtà elvetica Popolo e Territorio (che è un sistema a sua volta complesso e composito) hanno lo stesso valore.
Non c'è dubbio che la mia posizione, derivante dalla formazione accademica che si basa sull’applicazione dell’analisi sistemica a qualsiasi aspetto della vita associata, mi porta ad analizzare le due realtà che ho scelto in base a essa.
Io trovo naturale pensare che l’organizzazione migliore dello Stato per rispondere alla natura eco-sistemica della società e delle organizzazioni sia quella federale che rispetta nel contempo l’indipendenza delle parti e la necessità per le stesse di cooperare in modo sinergico e coeso per comuni interessi e obiettivi. Le parti, protagoniste dello stato federale, sono artefici prime del proprio destino e lo Stato nasce dal basso, una circostanza che responsabilizza le singole parti, oltre che riconoscere ad esse il diritto e il potere in modo originario.
I Cantoni elvetici, in questo quadro, non sono assimilabili alle nostre Regioni ma, più propriamente a vere e proprie Nazioni indipendenti che si alleano nella Confederazione. È quindi in questo quadro che, a mio modo di vedere, si dovrebbe collocare la prospettiva indipendentista di tante Nazioni senza Stato. In questo ambito, la prospettiva più ragionevole e perseguibile in tempi non biblici è quella della trasformazione dello stato italiano da “unitario e indivisibile” a stato federale in cui le Regioni parteciperebbero al processo di governo in modo paritetico: in sostanza la Camera dei Deputati rimarrebbe rappresentante della popolazione su base proporzionale mentre il Senato dovrebbe trasformarsi in Camera delle Regioni in cui ognuna di esse pesa in ugual misura (1 Regione = 1 voto). Per fare questo serve solo la volontà politica e pensare in funzione dei fini nobili che si propone la Costituzione elvetica contemperando anche tutti i diritti sanciti da quella italiana che però oggi non trovano riscontro nella realtà.
Personalmente nel breve termine non vedo alternative possibili e praticabili, anzi credo che propugnare la sola indipendenza come processo di separazione da una entità già esistente non aiuta a trovare il consenso necessario nella popolazione, perché questa trasformazione o ci convince tutti o rimarrà solo un effimero e mal compreso sogno.
[1] Nel 2020 il tasso di disoccupazione in Italia è stato pari al 9% (https://www.istat.it/it/files/2021/02/Occupati-e-disoccupati_dicembre_2020.pdf) mentre in Svizzera è stato pari al 3,5% (https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/Arbeit/Arbeitslosenversicherung/arbeitslosenzahlen.html).
Carissimo Professore, la lucidità con cui hai illustrato la tua tesi, che condivido integralmente, conferma che siamo sulla strada giusta. Non ci mancano certo i contenuti, ci mancano solo il contenitore e la volontà dei sardi ed è su quest'ultima che dobbiamo lavorare, per trasferire conoscenza e consapevolezza. Ti ringrazio per questo tuo prezioso contributo.