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La passione per la Politica, ma non per la politica

Aggiornamento: 8 giu 2020

Premessa


Sono nato in mezzo alla politica, non già perché qualcuno in casa mia ne fosse coinvolto direttamente ma perché mio babbo era usciere in Consiglio Regionale e quindi a casa si parlava di ciò che lì accadeva e di come lui viveva quell'esperienza, ci raccontava delle persone che stimava e di quelle che non stimava, delle sue idee e di quelle che non condivideva ma rispettava, nonché di quelle che non condivideva affatto. Insomma, tutto questo a me piaceva, benchè non avessi cultura politica, soprattutto perché aveva a che fare con la realtà quotidiana, con la terra nella quale vivevo.


Al liceo mi capitò invece di avere una professoressa di storia e filosofia che mi fece odiare queste due materie, sia perché la storia di cui si parlava era lontana dalla terra in cui vivo, sia perché la filosofia aveva una matrice ideologica e di partito ben precisa e finalizzata che a me infastidiva, soprattutto in relazione ai discorsi di cui si parlava in casa. Ciò nonostante non venni mai bocciato ma studiavo solo per fare il mio dovere e allora il mio unico desiderio era finire in fretta gli studi per non dover più assolvere a qualcosa che non mi piaceva. Ecco, io non ero uno studente modello, benchè non sia mai stato neppure rimandato ma ho studiato solo perché dovevo. Di questo oggi mi pento amaramente perché potrei sapere molte cose in più se avessi studiato anche con piacere ma allora non ci arrivavo o, forse, non mi è stato permesso di arrivarci.


All’Università accadde il colpo di fulmine: arrivai al terzo anno e mi ritrovai in un’aula a seguire le lezioni di “Tecnica industriale e commerciale” con un professore che riuscì a coinvolgermi, perché legava tutti i temi alla realtà nella quale vivevo e di cui sentivo notizie nei TG o leggevo qualcosa nei quotidiani. Ecco, fu li che mi resi conto di ascoltarlo per assorbire con piacere tutto ciò che diceva tanto che in sede di esame mi chiese: “ma lei lo ha aperto il libro?”. Io risposi “si, certo che l’ho aperto”. E lui: “perché lei ricorda benissimo tutto ciò che ho detto a lezione ma c’è questo punto che non ricorda e che nel libro c’è”. In ogni caso fu 30/30 e poi scelsi di fare la tesi di laurea proprio in questa materia.


Ma cosa fu per me l’esame di Tecnica industriale e commerciale?


Fu un esame che mi permise di essere quello che sono oggi:


a) Innanzitutto capii che si poteva studiare qualcosa legandola alla realtà in cui vivevo e questo a me piaceva molto. Di converso capii che se qualcosa la studiavo di malavoglia forse era perché questo legame io non lo avevo visto e chi avrebbe dovuto farmelo vedere o non era capace, o non aveva interesse;


b) Imparai un approccio metodologico che ancora oggi è alla base di ciò che faccio, scrivo, penso, ecc., l’approccio per sistemi, applicabile a qualsiasi ambito della realtà sociale, culturale, politica, ecc.


c) Imparai la differenza tra Politica e politica. Il mio professore era un militante del Movimento Federalista Europeo (MFE) e finiti gli esami, nel preparare la tesi, mi invitò a qualche incontro organizzato dalla locale sede cittadina del MFE. Mi piaceva il modo di affrontare gli argomenti: c’era sempre una relazione di ampio respiro che, coerentemente con l’approccio sistemico, considerava i diversi ambiti territoriali di riferimento, per arrivare poi a capire nel locale cosa si poteva fare per arrivare a determinati obiettivi. Le discussioni erano pacate, tutti potevano intervenire, era insomma un ambiente che mi piaceva.


La militanza nel Movimento Federalista Europeo


Dopo la laurea il professore, direttore dell’Istituto di Studi Mezzogiorno d’Europa, mi invitò a partecipare come discente a un corso di formazione professionale da lui progettato e organizzato e, successivamente, a frequentare l'Università come cultore della materia e di entrare a far parte del comitato di redazione della rivista “Mezzogiorno d’Europa”. Lì iniziai e imparai a scrivere articoli, oltre che tante altre cose pratiche riguardanti la gestione di una redazione. Alla fine ne divenni responsabile editoriale. Sempre grazie al MFE imparai a parlare in pubblico: ricordo ancora la prima volta, in un convegno a Oristano, appena 24 enne, un faticosissimo e tremolante intervento di 10 minuti dove sudai ben più che sette camice. In ogni caso fu una bella palestra e così nel MFE feci pure “carriera” diventando persino segretario regionale.


Il Movimento era fortemente stimolante: ho partecipato a incontri in ambito italiano e internazionale, ho conosciuto tanti amici, ho sfilato in corteo a Milano, ho vissuto con fastidio gli anni in cui nasceva la Lega Nord di Bossi e del suo teorico Gianfranco Miglio che usavano il federalismo per propugnare cose totalmente diverse da ciò che caratterizzavano le radici culturali del federalismo europeo elaborate di giganti come Kant, Proudhon, Hamilton e tanti altri venuti dopo. È da allora che io con la Lega non ho mai voluto avere nulla a che fare.


Gli anni della maturità e l’avvicinamento alle posizioni indipendentiste


Come accade spesso nella vita, anche a me è accaduto di recidere, non senza difficoltà, il cordone ombelicale “con chi ti ha permesso di nascere”, anche in senso accademico. La ricerca e lo studio di bello hanno che ti permettono di pensare liberamente e il pensiero non lo puoi ingabbiare. Questo ti permette di vedere ciò che prima non vedevi o, se lo vedevi, non riuscivi a metterlo a fuoco e quindi per me, che avevo fatto mio in modo integrale un principio della militanza federalista – “Il militante è colui che fa della contraddizione tra valori e fatti una questione di principio” –, era diventato inaccettabile sottostare a certe pratiche che stridevano con i principi predicati.


Da militante del MFE ho sempre considerato il concetto di indipendenza di una qualsiasi entità, qualcosa di contrastante con l’approccio sistemico che postula la coesistenza delle parti e del tutto senza che le prime vengano annullate. Da qui il fatto che, come viene codificato dai manuali, le relazioni tra le parti possono essere di tre tipi: indipendenza, dipendenza e interdipendenza. Va da sé che, in base a ciò, l’implicazione era che l’indipendenza portava all’assenza di relazioni tra le parti e io mai avrei voluto e voglio un contesto territoriale isolato dal mondo. Quindi, dal momento che rifiuto le relazioni di dipendenza di qualsiasi tipo, l’unica strada percorribile era quella della interdipendenza e in questo il federalismo ha sempre rappresentato per me la migliore delle soluzioni possibili.


Capitò poi che circa 12 anni fa mi ritrovai a discutere con alcuni miei studenti militanti di IRS e della nascenda ProgReS. Ad essi sono molto grato e continuo a mantenere con loro un ottimo rapporto perché mi permisero di riflettere su alcuni concetti propri della teoria dei sistemi. Sì, perché per me ogni concetto deve avere una base scientifica e metodologica robusta, altrimenti se devo fare un atto di fede mi affido alla religione.



Con loro prima e qualche anno dopo con un altro amico arrivai alla conclusione che in un sistema le parti possono essere indipendenti e mantenere delle buone relazioni di varia natura e intensità. In altre parole, mi si rappresentava di fronte un altro concetto, non codificato nei libri, di cui devo gratitudine al senatore Gianni Marilotti, con il quale ho discusso di “inter-indipendenza”. In sostanza, è un concetto che teorizza la possibilità di poter intrattenere rapporti tra parti pur conservando un grado di indipendenza, magari limitato ad alcuni temi e argomenti. Ma, guarda caso, politicamente parlando, anche questa soluzione, giuridicamente, passa attraverso il federalismo, un patto cioè tra uguali che per alcune materie decidono di mantenere sovranità, mentre per altre, per le quali è più conveniente, più economico, più efficace, ecc. il patto prescrive che le parti decidono di attribuire la sovranità a una entità di livello superiore. Il processo è però sempre dal basso verso l’altro.


Gli anni più recenti e la convinzione di fare Politica e stare lontano dalla politica


Mi è capitato più di una volta negli ultimi otto anni che qualcuno (pochissimi per la verità) mi abbia proposto di “fare politica”. Ho sempre ringraziato per l’attenzione verso la mia persona ma ho sempre declinato senza indugio la richiesta. Anche qualche collega di Università è capitato che mi abbia detto “io ti ci vedo a fare politica”, io ho sorriso e ringraziato. Un altro carissimo amico invece, quasi un fratello, più diretto, mi dice ripetutamente “Beppe, devi entrare in un partito”. Io per tutta risposta: “Pierpaolo, ma mi ci vedi con il mio carattere a stare dentro un partito?”.


Nondimeno anche in casa, sia mia moglie che mia suocera mi minacciano rispetto alla possibilità che io possa mettermi al servizio della Comunità. Mia suocera, in particolare, che ha fatto politica attiva e il cui babbo ha fatto politica attiva mi dice che quello è un mondo a me non adatto, perché composto da personaggi che hanno come unico interesse quello di danneggiare chi si muove sulla base di nobili principi, dal momento che ciò impedirebbe di perseguire gli interessi propri.


E' chiaro che di fronte a queste pressioni sia normale una certa idiosincrasia verso i partiti che pure sono il sale della democrazia. Eppure, non ho paura di prendermi le mie responsabilità e quindi non ho paura di svolgere un incarico politico legittimato dal voto.


La realtà è che, stante la situazione descritta, non credo di poter avere mai la possibilità di essere eletto perché molto semplicemente non ho nulla da promettere, mentre è noto che chiunque decida di votarti, prima di tutto, vuole qualcosa in cambio o si aspetta qualcosa in cambio.


Per candidarsi poi servono risorse e io non ho risorse personali da dedicare all’azione politica, né soprattutto, sono disposto a fare compromessi per avere risorse da chi poi qualcosa che non sia il bene comune in cambio la vuole. Insomma, non credo ci sia bisogno di entrare nello specifico per capire come organizzazioni deviate abbiano un forte interesse a controllare chi viene eletto e far si che l’eletto non sia qualcuno che possa ostacolare il perseguimento di soli interessi particolari.


Qualcuno potrebbe osservare che c’è chi è stato eletto senza disporre di grandi risorse. E’ vero, ma anche qui di chi si tratta? Io spendo la gran parte del tempo a leggere e studiare, mentre qualcuno di questi eletti usa il proprio tempo per risolvere problemi quotidiani a persone in difficoltà (pagare bollette, avere un certificato, ecc.). Io non sono competitivo, sono, nonostante tutto, un emerito sconosciuto e inoltre educo gli studenti a non dipendere da chicchessia, mentre il fare quei quotidiani e utili servizi crea un sistema di “riconoscenza” imbattibile che induce le persone a pensare che quel personaggio sì che fa del bene, mentre io, a loro modo di vedere, sarei inutile perché perdo tempo in una stanza a studiare, a leggere libri, a fare ricerca e a scrivere articoli o altro.


Eppure io sono fortemente interessato a fare Politica e la faccio tutti i giorni disquisendo di qualsiasi argomento, compreso lo sport. Perché per me la Politica è un modo di guardare al reale, di riflettere su ciò che accade, di instillare il dubbio a chi crede nelle “ricette” o nelle promesse "miracolose" che non guariscono nulla. Certo che se potessi fare la Politica che ho in mente con una legittimazione popolare potrei comunicare queste idee a molte più persone, confrontarmi con esse, oltre che cercare di risolvere concretamente, con umiltà, almeno qualcuno dei problemi quotidiani che attanagliano questa terra e questo popolo, ma sempre all’interno di una visione di lungo periodo e di interesse generale di tipo umano, equo, solidale, sostenibile e responsabile.


In tutto questo, quando affermo di non essere interessato alla politica, lo faccio con cognizione di causa perché se per sbaglio dovesse capitare che qualcuno volesse investire su di me senza chiedermi nulla in cambio se non la mia competenza, la mia capacità, i valori in cui credo, forse se ne potrebbe pentire subito dopo come accade nella trama del film “L’ora legale” che se qualcuno non lo ha visto, suggerisco vivamente di guardare .


Nonostante queste considerazioni, ho certezza che non sono solo a pensarla nel modo descritto e che una nuova prospettiva sia possibile e sia perseguibile. Per questo è nato il blog.

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