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La Sardegna verso l’UNESCO.

Aggiornamento: 27 gen 2021

Considerazioni a margine sulla Istanza per l’inserimento nella tentative list dei “Monumenti della civiltà nuragica” quale Patrimonio Culturale dell’Umanità.



Premessa


La ribalta assunta dal tema in oggetto mi ha indotto ad approfondire alcune questioni che mi sembrano importanti. Preciso altresì, giusto per mettere le mani avanti, che io sostengo ogni iniziativa volta a creare valore per la terra in cui sono nato e vivo, purché portata avanti con correttezza, trasparenza e seguendo le procedure previste dalle norme in vigore provenienti da qualsiasi istituzione riconosciuta.

In particolare, scopo di questa riflessione è quella di approfondire alcuni aspetti di contenuto e procedurali riguardanti la richiesta che si sta portando avanti sotto la denominazione “La Sardegna verso l’Unesco”.

Per farlo ho cercato di seguire un percorso, scolastico direi, per offrire a chi ha voglia di leggere alcuni elementi di valutazione delle riflessioni che propongo.


1. Cosa è l’UNESCO


L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, conosciuta in tutto il mondo con l’acronimo UNESCO, è una agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) istituita a Parigi 4 novembre 1946.

Essa è nata da una duplice consapevolezza riguardante il fatto che:

a) gli accordi politici ed economici non sono sufficienti per costruire una pace duratura;

b) la pace debba fondarsi sull'educazione, la scienza, la cultura e la collaborazione fra nazioni.



Il tutto con il fine ultimo di assicurare il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.


A distanza di oltre 75 anni dalla sua nascita, questa Istituzione presenta alcuni lati deboli riguardanti in particolare la progressiva politicizzazione e la carenza di risorse (si veda in proposito l’articolo di Edek Osser su Sardegna Soprattutto (http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/23320).


In ogni caso sono molti i territori che ambiscono a vedere le proprie specificità riconosciute da tale organismo ma, proprio per questo, affinché l’Istituzione riacquisisca la credibilità che aveva all’origine è necessario che tutti facciano la loro parte, a iniziare da chi proprio vorrebbe che il proprio patrimonio venga riconosciuto meritevole di tutela in base ai requisiti stabiliti da tale organismo.



2. Di cosa si occupa l’UNESCO e differenze nelle tipologie di patrimonio tutelabile


La principale missione di questa organizzazione è l’identificazione, la protezione, la tutela e la trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale di tutto il mondo.

I beni candidati ad essere iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale possono essere di tre tipi:

a. Patrimonio culturale;

b. Patrimonio naturale;

c. Paesaggio culturale.


A questo proposito è bene esplicitare cosa si intenda con ciascuna di queste tre tipologie di beni.


Patrimonio culturale

Rientrano in questa tipologia i monumenti (opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico), gli agglomerati (gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura, unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico), i siti (opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di valore universale eccezionale dall’aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico). È in tale ambito, per esempio, che rientra il sito archeologico Su Nuraxi di Barumini.



Patrimonio naturale

In questa categoria rientrano i monumenti naturali (costituiti da formazioni fisiche e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valore universale eccezionale dall’aspetto estetico o scientifico), le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone strettamente delimitate costituenti l’habitat di specie animali e vegetali minacciate, di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico o conservativo,

i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico, conservativo o estetico naturale


Paesaggio culturale

Quest’ultima tipologia, introdotta dal 1992, si riferisce ai paesaggi che rappresentano “creazioni congiunte dell'uomo e della natura”, così come definiti all’articolo 1 della Convenzione, e che illustrano l’evoluzione di una società e del suo insediamento nel tempo sotto l’influenza di costrizioni e/o opportunità presentate, all’interno e all’esterno, dall’ambiente naturale e da spinte culturali, economiche e sociali. Per l’agenzia dell’ONU, la protezione di questi paesaggi può contribuire alle tecniche moderne di uso sostenibile del territorio e al mantenimento della diversità biologica.



La distinzione di cui sopra è fondamentale per capire la natura dell’istanza che il Comitato promotore dell’iniziativa La Sardegna verso l’Unesco vuole portare avanti. Infatti, in relazione al fatto che si chieda l’iscrizione di un patrimonio culturale o quella di un paesaggio culturale, cambiano i criteri di valutazione, come cercherò di evidenziare nei punti successivi.


Preciso subito che se la richiesta riguardasse il patrimonio culturale la questione consisterebbe nell’estendere la tutela oggi prevista per il sito di Barumini ad altri siti nuragici della Sardegna e, nel caso, occorrerebbe chiedersi se tale estensione debba riguardare tutti gli stimati 7-8 mila siti o solo una parte di essi. La difficoltà, in questo caso, riguarderebbe l’inventario dei beni da tutelare che andrebbero individuati precisamente uno per uno. Nel secondo caso, invece, si tratta di una pratica totalmente diversa che richiede di essere appropriatamente argomentata e documentata.


Al momento, sulla base dei dati pubblici esistenti e, in particolare, della Delibera della Regione Autonoma della Sardegna del 30 settembre 2020, n. 49/13, l’istanza riguarda il progetto “Sardegna paesaggio culturale del Patrimonio Universale UNESCO” (https://delibere.regione.sardegna.it/it/visualizza_delibera.page;jsessionid=B67E7C115E3FBA3AD67308D9D2F4FEDC.app4?contentId=DBR52324).

3. Criteri per l’inserimento dei beni nella Lista UNESCO


Affinché un bene possa essere inserito nella Lista deve essere di eccezionale valore universale e rispondere ad almeno uno dei dieci criteri previsti nelle Linee Guida Operative, e cioè:

  • i. Rappresentare un capolavoro del genio creativo dell’uomo.

  • ii. Mostrare un importante interscambio di valori umani in un lungo arco temporale o all’interno di un’area culturale del mondo, sugli sviluppi dell’architettura, nella tecnologia, nelle arti monumentali, nella pianificazione urbana e nel disegno del paesaggio.

  • iii. Essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa

  • iv. Costituire un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico o di un paesaggio che illustri uno o più importanti fasi nella storia umana.

  • v. Essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture) o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto vulnerabile per effetto di trasformazioni irreversibili.

  • vi. Essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale eccezionale.

  • vii. Presentare fenomeni naturali eccezionali o aree di eccezionale bellezza naturale o importanza estetica.

  • viii. Costituire una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative.

  • ix. Costituire esempi significativi di importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri, di acqua dolce, costieri e marini.

  • x. Presentare gli habitat naturali più importanti e significativi, adatti per la conservazione in situ della diversità biologica, compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista della scienza o della conservazione.


La delibera della Regione Sardegna individua l’eccezionale valore universale in termini di “Autenticità e Integrità dei Monumenti nuragici” mentre reputa che i criteri rispettati, dell’elenco di cui sopra, sarebbero quelli che vanno da i a vi.


Non essendo io né uno storico, né un archeologo, non discuto questi criteri anche se, come indicato in precedenza, ai fini della presa in considerazione dell’istanza, ne basta anche solo uno. Pertanto, credo che sarebbe prudente individuare tra i criteri rispettati quelli che senza forzature possono essere soddisfatti con i documenti attualmente disponibili derivanti dai lavori di ricerca scientifica finora compiuti.


Nondimeno, il concetto di paesaggio richiederebbe che ci fossero norme a tutela dello stesso sul piano urbanistico, edilizio e paesaggistico ma a questo proposito è bene ricordare che la nostra Regione dispone di un Piano Paesistico solo per le zone costiere e non per le zone interne e che il piano casa recentemente licenziato dal Consiglio Regionale, a prescindere da eventuali rigetti da parte del Governo italiano per violazione di norme sovraordinate, va in una direzione decisamente contraria come diversi osservatori e associazioni ambientaliste hanno contestato (https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2021/01/20/il-grig-chiede-al-governo-di-impugnare-la-legge-regionale-sarda-scempia-coste-ma-anche-tu-puoi-difendere-la-nostra-terra/).


4. L’iter procedurale per la candidatura


L’iter procedurale previsto dall’UNESCO per ricevere e valutare le richieste di candidatura per l’inserimento di beni materiali o immateriali nella propria tutela prevede innanzitutto che lo Stato di appartenenza predisponga la richiesta di iscrizione nella Tentative List nazionale. In questo modo lo Stato segnala “al Centro del Patrimonio Mondiale, World Heritage Center-WHC, i beni per i quali intende chiedere l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale nell'arco di 5-10 anni”.


Come risulta dalla consultazione del sito UNESCO redatto anche in lingua italiana, “l’iscrizione di un sito nella Lista propositiva non comporta automaticamente la successiva iscrizione dello stesso nella Lista del Patrimonio Mondiale”.


Credo che sia sufficiente il richiamo precedente per capire quanto sia importante conoscere bene l’iter da seguire per non incorrere successivamente in cocenti delusioni, soprattutto dopo il massiccio e ampio coinvolgimento di diversi strati della società sarda, istituzionale e non.


Per comprendere ancora più a fondo la complessità dell’iter procedurale, sempre nell’indicato sito, si legge che la candidatura preveda i seguenti passaggi:

  • la compilazione di un apposito formulario (compilato, in questa fase, in lingua italiana) reperibile nell’allegato 8 alle Linee Guida Operative (che trovate in questo link http://unescoblob.blob.core.windows.net/pdf/UploadCKEditor/operational%20guidelines%20whc.pdf);

  • l’invio di tale formulario alla Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco (CNIU) la quale, a seguito di un primo esame, procede ad inoltrare la domanda ai Ministeri competenti;

  • la valutazione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, per i siti culturali, dei contenuti della domanda e, ove rinvengano i requisiti per una valida candidatura, entrano in contatto direttamente con i proponenti per definire congiuntamente i contenuti della richiesta di iscrizione nella Tentative List da trasmettere al WHC, dandone notizia alla CNIU;

  • la selezione, decisa dal Consiglio direttivo della CNIU, dei beni per i quali richiedere al WHC l’iscrizione nella Lista propositiva;

  • la trasmissione (sempre a cura del CNIU) delle candidature selezionate al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale il quale, a sua volta, le invierà alla Rappresentanza Italiana presso l’UNESCO per il successivo inoltro, entro il primo febbraio di ogni anno, al WHC.

Si tenga presente, infine, che per i beni iscritti in questa lista, successivamente si procederà, sulla base di un iter lungo e complesso, alla predisposizione delle candidature vere e proprie, composte da un dossier e da un piano di gestione che i proponenti redigono con l’ausilio dei Ministeri competenti.

Riguardo l’istanza oggetto di questa riflessione, per quel che mi pare di aver capito fino a ora, ci si trova nella fase in cui il formulario citato sopra deve essere redatto in ogni sua parte. In questo ambito, tra gli altri, è richiesto:

  • L’indicazione degli obiettivi del progetto;

  • I risultati attesi dalla realizzazione del progetto;

  • Gli indicatori e i mezzi che possono essere utilizzati per valutare i risultati attesi;

  • Un piano di lavoro (work plan) che definisca le specifiche attività e il tempo necessario per l’espletamento delle stesse;

  • La previsione dettagliata dei costi dei singoli elementi del progetto inclusi, se possibile, i costi unitari e mostrare come questi saranno condivisi tra le diverse fonti di finanziamento;

  • L’indicazione delle fonti di copertura delle spese, suddivise per soggetto partecipante, compreso lo Stato;

  • L’indicazione del soggetto responsabile dell’implementazione del progetto.


5. Criticità da non sottovalutare


Come si può ben capire, le possibilità che l’istanza possa trovare accoglimento negli organismi UNESCO dipende dalla capacità dei proponenti di porre attenzione, pur con l’assistenza dello Stato, agli aspetti riguardanti l’iter procedurale poiché, a mio modo di vedere, non è in discussione l’unicità e l’eccezionalità della civiltà nuragica nel suo complesso testimoniata dalle migliaia di reperti finora censiti e geolocalizzati, sia in ambito scientifico che divulgativo (si pensi al lavoro svolto dall’Associazione NURNET), quanto invece la bontà del piano di gestione, in termini di rispondenza ai requisiti richiesti dall’Unesco.


Ne discende che certamente il lavoro di coinvolgimento delle Comunità e delle Istituzioni è importante e finora i risultati raggiunti sono di grande significato culturale, sociale e politico, tuttavia credo che almeno uguale attenzione debba essere riposta con riferimento agli aspetti gestionali sopra richiamati.


La prima conseguenza di questo ragionamento è che, se la scelta che il Comitato promotore sta facendo è quella di richiedere la tutela del “paesaggio culturale”, il gruppo di lavoro chiamato a predisporre il dossier con il piano di gestione deve prima di tutto dimostrare quali caratteristiche presenti il paesaggio culturale della civiltà nuragica in termini di “connubio tra creazione congiunta dell’uomo e della natura” e in che modo si conciliano con questo le scelte urbanistiche e paesaggistiche poste in essere dalla Regione Sardegna, a iniziare dal citato piano casa, dalla volontà di modificare il Piano Paesistico Regionale per le zone costiere e la mancanza dello stesso per le zone interne. A titolo di confronto ed esempio, si guardi nel link http://www.unesco.it/it/PatrimonioMondiale/Detail/160 come è descritto il paesaggio vitivinicolo del Piemonte (che rientra tra quelli tutelati), di cui alla foto qui sotto.



La citata delibera della RAS dedica a questo aspetto un paragrafo in risposta al seguente quesito:


Nel caso di paesaggi culturali, città storiche o altri beni culturali viventi, sono mantenuti i processi, le relazioni e le funzioni dinamiche essenziali per il loro carattere distintivo e in uno stato rilevante?


In sostanza, ci si chiede se il citato connubio sia ancora visibile nella realtà della nostra terra. La risposta al quesito (che riporto per intero) è la seguente:


Benché qui siano considerati i monumenti nuragici e non il paesaggio culturale nel suo complesso, sono palesi le relazioni dinamiche fra i manufatti nuragici e lo stesso paesaggio culturale (il paesaggio ambientale e naturale in senso vasto). Relazioni che fanno emergere il carattere distintivo dello scenario culturale sardo.


Negli ultimi decenni, a fronte di un relativo processo di spopolamento ed emigrazione delle popolazioni locali, è cresciuta la frequentazione dell’isola per attività culturali, ludico-sportive, turistico-esperienziali e di intrattenimento paesaggistico. Teoricamente sono cresciuti anche i pericoli per la salvaguardia del patrimonio culturale isolano. Tuttavia, anche oggi, non è pensabile un’idea del paesaggio culturale della Sardegna, e in particolare della Civiltà nuragica, senza un’interrelazione con la realtà insediativa, produttiva ed economica in generale. Questa relazione non va vista come conflittuale ma in una dinamica di rapporti positivi in linea con le esigenze di rispetto dell’ambiente e della natura e con la dovuta considerazione della storia umana. L’uomo che vive di memoria, pur nei cambiamenti talora anche troppo rapidi della società che emarginano le persone anziane e i più deboli, non può distruggere i fili che questa memoria sostengono. I monumenti del passato, soprattutto quelli della Civiltà nuragica, rappresentano un pezzo importante del filo d’Arianna della storia umana e di questo occorre tener conto.


Ora, dal momento che, come ho scritto in premessa, il mio desiderio è quello che la pratica possa andare a buon fine, trovo qualche difficoltà a descrivere il paesaggio culturale della civiltà nuragica in termini di connubio tra creazione congiunta dell’uomo e della natura. In altre parole, mentre non è in discussione l’esistenza di un patrimonio culturale rappresentato da 7-8 mila nuraghi, i processi che nei secoli hanno portato alla trasformazione radicale del paesaggio con la distruzione di molti di questi siti e l’inserimento di altre forme di antropizzazione totalmente indipendenti e in molti casi addirittura confliggenti con quel patrimonio preistorico, mi lascia perplesso circa l’effettiva, visibile e tangibile esistenza di un paesaggio culturale della civiltà nuragica. Peraltro, la stessa delibera della Ras, nel primo periodo che ho riportato, prende atto che la relazione tratta dei monumenti nuragici e non del paesaggio culturale nel suo complesso, mentre lascia al lettore la libertà di immaginare queste relazioni fra i manufatti nuragici e lo stesso paesaggio culturale (il paesaggio ambientale e naturale in senso vasto) in quanto “palesi”, aggiungendo poi che si tratta di Relazioni che fanno emergere il carattere distintivo dello scenario culturale sardo.


Se fossi funzionario dell’Unesco, ma anche se fossi referente del Ministero che presenta la domanda, porrei queste semplici domande:

  • In cosa consiste il carattere distintivo dello scenario culturale sardo? Potrebbe descriverlo?

  • In cosa trovo le relazioni dinamiche tra manufatti nuragici e l’ambiente naturale che li circonda?

  • Si tratta di un paesaggio che si ritrova in tutti i comuni della Sardegna o riguarda solo una parte di essi?

  • Le relazioni tra questi contesti, se esistevano all’epoca di quella civiltà, sono ancora presenti nelle attività umane che caratterizzano oggi la società sarda?

  • Ammesso che esista tale paesaggio, in che modo alcuni provvedimenti in corso, come per esempio, il piano casa o una modifica della legge urbanistica, potrebbero impattare su questo scenario?


6. Considerazioni finali


A mio modesto avviso la scelta di puntare sulla tutela del paesaggio culturale è molto "ambiziosa" e penso che il Comitato promotore si debba impegnare non poco per irrobustire la relazione citata in precedenza.


Se invece, sulla base delle interlocuzioni con i Ministeri competenti, si arrivasse a ripiegare sulla richiesta di tutela del patrimonio culturale (percorso a mio modesto avviso più semplice e fattibile) allora, per andare nel concreto, la gestione richiederebbe:

  • la precisa individuazione dei siti da tutelare. La domanda infatti è: quanti dei sette/ottomila siti nuragici si vogliono sottoporre a tutela e, quindi, a gestione? Si vogliono tutelare tutti? Se sì, con quali risorse?

  • la precisa individuazione del soggetto (o dei soggetti) chiamati a gestire ciascuno di questi siti, il che significa che è impensabile, anche in una prospettiva ventennale, riuscire a gestire tutti gli ottomila siti;

  • la precisa individuazione delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche necessarie per la gestione i questi siti.

Tutto ciò, richiede, come è facile ipotizzare, una scelta che renda il progetto “fattibile” e, di conseguenza “credibile”. Il che potrebbe significare che, almeno per il momento, si faccia una scelta di un numero decisamente più ridotto (simbolico direi) di siti da tutelare con piani di gestione per ciascuno di questi. Il che poi suggerirebbe altre domande legittime, quali per esempio:

  • Chi decide i siti da tutelare in questa fase?

  • Se, come si afferma, ci sono siti in ciascuno dei 377 comuni della Sardegna, si manterrà la concordia finora raggiunta anche da parte dei comuni esclusi? Si è cioè disposti a sostenere il progetto anche se il sito scelto non sarà quello del mio comune? Ovviamente io spererei di si, ma ...;

  • Oltre i finanziamenti pubblici che ovviamente devono esserci (ma che non potranno mai essere sufficienti), come si pensa però di integrarli con risorse private?

Queste sono solo alcune delle riflessioni che mi sovvengono dalla lettura dei diversi articoli che entusiasticamente danno conto di una volontà sempre più ampia di arrivare a questo risultato che, lo ribadisco, anche io auspico vivamente. Tuttavia, la mia formazione economico-aziendale mi porta a spostare l’attenzione sugli aspetti gestionali, anche perché già in passato abbiamo vissuto casi in cui a fronte di importanti investimenti per rimettere in sesto certi siti o per realizzare certe opere, poi il tutto è naufragato nel momento in cui le iniziative dovevano camminare con le proprie gambe e questo perché l’attenzione agli aspetti gestionali non è mai stata quella richiesta per dare vita alle stesse.


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