La solita illusione, i soliti creduloni. Grandi poli commerciali, piccole visioni di sviluppo
- giuseppe melis

- 31 ott
- Tempo di lettura: 8 min

L'annuncio e la promessa
A Elmas, alle porte di Cagliari, è stato presentato come un evento “epocale”: l’apertura di un nuovo mega-polo commerciale nell’area dell’ex stabilimento FAS, con la prospettiva di circa 1.300 posti di lavoro. Secondo un articolo di Distribuzione Moderna (https://distribuzionemoderna.info/notizia-del-giorno/il-centro-fas-di-elmas-cagliari-si-prepara-allapertura), il progetto prevede circa 67.000 m² di superficie lorda, su tre livelli, con 1.800 posti auto.
L’annuncio dell'apertura imminente e, in particolare, degli obiettivi occupazionali immaginati è stato accompagnato dalla promessa di corsi gratuiti promossi da ASPAL e dal Comune per “preparare” i candidati, nel segno di una sinergia pubblico-privata apparentemente virtuosa.
La narrazione è quella ormai classica: un grande investimento immobiliare viene presentato come motore di sviluppo territoriale e di occupazione, rinnovando la fiducia collettiva in un modello di crescita quantitativa che promette ricchezza e riscatto sociale.
Eppure, come spesso accade, dietro la retorica dell’opportunità si cela un impianto economico ben diverso — quello della valorizzazione immobiliare e del consumo indotto, più che della creazione di valore diffuso e duraturo.
2. La Sardegna e la desertificazione commerciale
Secondo l’Osservatorio Confcommercio “Città e Commercio” (2025), tra il 2012 e il 2024 in Italia sono scomparsi quasi 118.000 negozi nei 122 comuni capoluogo analizzati. La contrazione è stata particolarmente marcata nei centri storici, dove l’offerta di esercizi di vicinato si è ridotta del 22%, mentre cresce la presenza di grandi superfici nelle aree periferiche. Il fenomeno non risparmia la Sardegna, dove — secondo l’Osservatorio regionale del commercio (Regione Sardegna, 2021) — si registra una progressiva polarizzazione dei flussi di consumo nelle aree extraurbane.
Questo significa che l’isola, già segnata da una bassa densità demografica e da livelli di reddito inferiori alla media nazionale (crescita 2023 +4,1%, Italia +4,9%), subisce un progressivo svuotamento commerciale e sociale dei propri centri abitati, sostituiti da grandi contenitori a funzione prevalentemente transazionale.
3. L’e-commerce e la crisi del modello
Il Rapporto eCommerce B2C 2024 dell’Osservatorio Politecnico di Milano–Netcomm mostra come gli acquisti online in Italia abbiano raggiunto 58,8 miliardi di euro, con una crescita del 6% annuo. I soli prodotti (arredamento, food, elettronica, beauty, moda) rappresentano 38,6 miliardi del totale, confermando che nel settore non alimentare il canale online è ormai strutturale e in continua espansione, riducendo in modo permanente i margini dei punti vendita fisici.
Se si considera la Città Metropolitana di Cagliari, con circa 430.000 abitanti e una popolazione in diminuzione dal 2015 (– 3,2 %), sorge un interrogativo cruciale: quale bacino d’utenza reale può sostenere un nuovo mega-polo commerciale, in un contesto dove la capacità di spesa è più bassa della media italiana e il commercio elettronico cresce a doppia cifra?
4. Operazione immobiliare o progetto di sviluppo?
Come osservato in altro lavoro pubblicato di recente (2024), la globalizzazione dei consumi coesiste oggi con un rinnovato protagonismo dei territori, dove la glocalizzazione diventa una risposta strategica delle imprese distributive che cercano di coniugare efficienza globale e radicamento locale. Tuttavia, tali dinamiche rimangono ambivalenti: la retorica del “locale” può convivere con logiche estrattive se non si traduce in reale condivisione di valore nel territorio
I centri commerciali sono oggi progetti immobiliari prima ancora che imprese di distribuzione. La redditività principale si concentra nella fase di costruzione, cessione e locazione degli spazi, mentre la gestione operativa dei punti vendita produce ritorni modesti e spesso precari. Le analisi di INAPP (2023) e dell’indagine INAPP-PLUS (2023) indicano che nel settore del commercio la percentuale di contratti non standard e part-time è tra le più elevate in Italia, con una diffusione superiore al 40% tra le donne e al 30% tra i giovani under-35. Il turnover occupazionale rimane alto, mentre la qualità del lavoro — in termini di stabilità, formazione e progressione — risulta bassa. In altre parole, il valore economico resta in gran parte estratto dal territorio attraverso filiere immobiliari e finanziarie, mentre al sistema locale rimangono i costi infrastrutturali e sociali.
5. Il prezzo nascosto: valore distrutto
Alla luce dell’Approccio Sistemico Vitale (Golinelli 2010; Barile 2011) e della Service-Dominant Logic (Vargo & Lusch 2008), il valore non si crea nella transazione ma nelle relazioni durature e rigenerative tra gli attori di un sistema. Un grande centro commerciale, se non inserito in una strategia territoriale coerente, può invece generare distruzione di valore su più livelli:
Ambientale: Secondo ISPRA/SNPA 2024, il consumo di suolo continua ad aumentare in Italia; i dataset ufficiali consentono stime fino al livello comunale (incluso Elmas) per la valutazione ex-ante/ex-post.
Sociale e relazionale: l’espansione dei poli esterni indebolisce il commercio di prossimità, riducendo la densità di interazioni e la qualità della vita urbana.
Economico e cognitivo: la dipendenza da catene esterne e franchising riduce la capacità di innovazione endogena e impoverisce il capitale relazionale locale.
6. La retorica dell’occupazione
Secondo elaborazioni Unioncamere–INAPP e l’Osservatorio Confcommercio, la grande distribuzione impiega in media un terzo del personale necessario per generare lo stesso volume di fatturato nel commercio di prossimità. Ne deriva che ogni posto creato nella GDO tende a sostituire 3-4 posti nelle piccole imprese locali, con un saldo netto spesso negativo e una riduzione del reddito trattenuto sul territorio.
Ogni “grande opera” viene presentata come motore di lavoro. Ma la quantità di occupati non dice nulla sulla qualità del lavoro generato. Nel comparto del commercio al dettaglio in grandi strutture, i dati INAPP (2023) mostrano che meno della metà dei lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato e oltre il 60 % delle nuove assunzioni avviene con formule part-time o temporanee. Si tratta di impieghi fragili, con bassa formazione e scarse prospettive di crescita. Le politiche pubbliche rischiano così di trasformarsi in dispositivi di legittimazione delle operazioni private, anziché in strumenti di capacitazione e innovazione.
7. Dove resta il valore
Ogni espansione della grande distribuzione produce, indubbiamente, efficienze di scala: riduzione dei costi logistici, ottimizzazione degli acquisti, migliori ritorni sul capitale investito (ROIC) e sull’equity (ROE) per gli operatori finanziari e immobiliari. Ma il punto non è se la GDO crei valore — bensì dove quel valore resti.
Quando le filiere di fornitura, la fiscalità e la proprietà sono esterne al territorio ospitante, la maggior parte del valore generato non viene trattenuta localmente: i profitti si trasferiscono verso le sedi legali dei grandi gruppi, mentre la comunità riceve solo una frazione, spesso in forma di salari a bassa qualificazione e margini fiscali limitati. Dati del Centro Studi Tagliacarne indicano che i negozi di prossimità tendono a trattenere una quota maggiore del valore aggiunto nel territorio rispetto alle grandi catene, sebbene non sia disponibile una comparazione aggiornata che quantifichi esattamente il differenziale.
La sostenibilità della moderna distribuzione dipende, quindi, dalla capacità di redistribuire equamente il valore lungo la filiera, garantendo che una parte significativa resti nei contesti locali sotto forma di occupazione qualificata, reddito e capitale relazionale. È proprio questa capacità redistributiva — e non la sola efficienza economica — a determinare la vitalità sistemica di un territorio.
Il vero discrimine, quindi, non è tra efficienza e inefficienza, ma tra valore che circola nel territorio e valore che ne viene estratto.Un modello di sviluppo equilibrato dovrebbe porsi questa domanda prima di ogni nuova espansione: chi crea valore, per chi, e dove esso rimane?
8. Verso una nuova grammatica dello sviluppo
Il caso Elmas non è isolato: è un sintomo culturale. Dietro ogni “progetto di sviluppo” di questo tipo si ripete lo stesso schema dell’illusione:
grande investimento → promessa di occupazione → consenso immediato → esternalizzazione dei benefici.
Il risultato è una forma di sviluppo entropico: apparentemente espansivo, ma in realtà dissipativo, perché consuma risorse e capitale sociale senza rigenerarli. Serve invece una visione generativa del territorio, fondata su:
co-creazione di valore tra imprese, istituzioni e comunità;
misurazione del saldo netto di valore territoriale (ambientale, sociale, economico, cognitivo);
coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 (Goal 8 – lavoro dignitoso; Goal 11 – città sostenibili).
Ogni investimento dovrebbe essere valutato per il suo contributo alla vitalità sistemica del territorio, non solo per il numero di contratti attivati.
9. Centri commerciali o centri vitali? La coerenza che manca
Negli ultimi anni molti comuni sardi — sostenuti da programmi regionali ed europei — hanno avviato iniziative per rivitalizzare i centri storici, rilanciando il piccolo commercio, l’artigianato e le imprese creative. Si parla di “rigenerazione urbana”, “borghi sostenibili”, “esperienze di comunità”: tentativi di restituire senso ai luoghi e prossimità sociale. Tuttavia, iniziative come il mega-polo commerciale di Elmas vanno in direzione opposta. Non solo drenano risorse e flussi di consumo dalle città verso le periferie, ma minano alla base le stesse strategie di rivitalizzazione promosse dagli enti pubblici. È una forma di schizofrenia istituzionale: da un lato si finanziano progetti per sostenere i centri storici, dall’altro si favoriscono investimenti che li marginalizzano.
La domanda diventa inevitabile: qual è la visione di sviluppo socio-economico per la Sardegna e per l’area metropolitana di Cagliari?
Le scelte appaiono frammentarie, contingenti, spesso dettate da interessi settoriali o dalla ricerca di consenso immediato. Manca una governance territoriale capace di integrare sostenibilità, equilibrio e qualità della vita. In assenza di questa visione, ogni grande investimento resta un episodio isolato, destinato a produrre effetti asimmetrici e difficilmente reversibili: centri commerciali sempre più grandi e centri storici sempre più vuoti.
10. Piani, analisi e trasparenza: le valutazioni che mancano
Un investimento di questa scala dovrebbe essere accompagnato da un Business Plan pubblico e da una Valutazione d’Impatto Territoriale integrata (VIT) che analizzi non solo gli effetti occupazionali e ambientali, ma anche quelli urbanistici, sociali ed economici.
Dagli atti ufficiali risulta che il progetto di riconversione dell’area ex FAS sia stato sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA, con istanza depositata il 24 maggio 2023 dal proponente Villa del Mas S.r.l. e pubblicazione delle osservazioni (Regione Sardegna – Sardegna SIRA https://portal.sardegnasira.it/-/-piano-di-riconversione-e-razionalizzazione-dell-area-ex-fas-nel-comune-di-elmas-ca-proponente-societa-villa-del-mas-s-r-l-procedimento-di-verifica-di?utm_source=chatgpt.com). Non sono però disponibili in forma pubblica un business plan gestionale dettagliato né una valutazione economico-sociale integrata che consideri gli impatti su commercio di prossimità, mobilità, coesione e occupazione qualificata.
In assenza di queste analisi open access, la discussione pubblica resta inevitabilmente parziale. Gli strumenti previsti dalla normativa (VAS, VIA, VIS – Valutazione d’Impatto Sociale prevista dal PNRR) dovrebbero essere utilizzati come strumenti di policy integrata, non solo come adempimenti tecnici. Ma nel caso di Elmas, tutto lascia pensare che le decisioni siano state assunte senza una valutazione sistemica di lungo periodo e senza un confronto pubblico trasparente sull’effettiva utilità collettiva del progetto. Ancora una volta, si procede “a progetto compiuto”, non a progetto discusso.
11. Conclusione
La solita illusione, i soliti creduloni non è solo un titolo ironico: è il ritratto di una Sardegna che continua a credere che lo sviluppo venga da fuori, che la modernità coincida con il consumo e che basti contare le buste paga per misurare il progresso. Ma lo sviluppo autentico non si misura nel numero dei centri commerciali: si misura nella qualità delle relazioni e nella capacità di rigenerare valore nel tempo e nello spazio.
📚 Riferimenti bibliografici
Barile S. (2011). Management sistemico vitale. Giappichelli.Banca d’Italia (2024). L’economia della Sardegna. Roma.
Casaleggio Associati (2024). E-commerce in Italia. Rapporto annuale. https://www.ecommerceitalia.info/report/rapporto-e-commerce-in-italia-2024/
Confcommercio (2025). Osservatorio “Città e Commercio”. Roma.
Golinelli G. M. (2010). Viable Systems Approach (VSA): Governing Business Dynamics. Cedam.
INAPP (2023). Rapporto sul mercato del lavoro in Italia. Roma.INAPP-PLUS (2023). Indagine campionaria sulle transizioni occupazionali. Roma.
ISPRA/SNPA (2025). Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Roma.
ISTAT (2023). Conti economici territoriali. Roma.
Regione Sardegna (2023). SardegnaSIRA – procedura di verifica VIA area ex FAS Elmas. Cagliari.
Melis, G., Pinna, R., & Cossu, M. (2024). Localismo e sostenibilità dei prodotti freschi a libero servizio nelle strategie della moderna distribuzione. FrancoAngeli.
Porter, M. E., & Kramer, M. R. (2018). Creating shared value: How to reinvent capitalism—And unleash a wave of innovation and growth. In Managing sustainable business: An executive education case and textbook (pp. 323-346). Dordrecht: Springer Netherlands.
Vargo, S. L., & Lusch, R. F. (2008). Service-Dominant Logic: Continuing the Evolution. Journal of the Academy of Marketing Science, 36(1), 1–10.




Commenti