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Oltre Maastricht: perché l’Europa non è ancora un’unione economica (e come potrebbe diventarlo)

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1. Introduzione: una moneta senza Stato, un continente senza voce

L’Europa dispone della seconda moneta più utilizzata al mondo — l’euro — ma non possiede né uno Stato federale né un’unione economica completa. È una potenza commerciale, ma non una potenza politica. È un’unione monetaria, ma non un’unione fiscale. È uno spazio economico integrato, ma governato da meccanismi intergovernativi lenti e spesso contraddittori.

Ne deriva una contraddizione strutturale: l’euro è nato come moneta di una federazione che non esiste ancora. La sua forza dipende in larga misura da istituzioni che sono state costruite solo a metà.

La fragilità dell’integrazione europea non risiede nell’eccesso di “Europa”, come sostengono i sovranisti, ma nel suo opposto: la mancanza di un’Europa pienamente politica, economica e finanziaria. La conseguenza è un’architettura incompiuta che espone i cittadini europei a rischi che gli Stati Uniti, la Cina, la Svizzera o il Giappone non devono fronteggiare.

 

2. Maastricht: ciò che era previsto e ciò che non è mai stato realizzato

Il Trattato di Maastricht del 1992 immaginava un percorso in tre tappe:

  1. Unione monetaria, realizzata con la BCE.

  2. Coordinamento delle politiche economiche, mai realmente attuato.

  3. Unione economica e fiscale, mai costruita.

Gli obiettivi di Maastricht — unione economica, monetaria e fiscale — non sono mai stati completati. A distanza di oltre trent’anni possiamo affermarlo chiaramente: solo il primo pilastro è stato realizzato. Gli elementi mancanti sono determinanti:

  • un Tesoro europeo con poteri fiscali;

  • un bilancio federale significativo (oggi appena l’1% del PIL europeo);

  • una politica economica comune;

  • un mercato dei capitali integrato;

  • un’unione bancaria completa, inclusa la garanzia europea dei depositi.

Il risultato è una costruzione sbilanciata: una moneta unica senza uno Stato unico, con 27 politiche fiscali che rispondono a logiche nazionali e che spesso si ostacolano a vicenda.

 

3. Il paradosso dell’euro: forte sui mercati, debole nella governance

L’euro è stabile, credibile, utilizzato come moneta di riserva e apprezzato sui mercati finanziari.Eppure è sostenuto da un’architettura istituzionale insufficiente. Come ha osservato Mario Draghi, La BCE ha dovuto fare molto più di quanto previsto, perché era rimasta l’unica istituzione realmente federale dell’Unione. Questo vuol dire che senza un Tesoro europeo:

  • non esiste una politica fiscale anticiclica;

  • gli Stati rispondono in ordine sparso alle crisi;

  • gli shock economici colpiscono in modo asimmetrico;

  • mancano strumenti di stabilizzazione paragonabili a quelli di una federazione.

La crisi dei debiti sovrani (2011–2013) e la pandemia hanno reso evidente che una moneta senza Stato è intrinsecamente vulnerabile.

 

4. Le conseguenze della mancata integrazione economica

1 Divergenze territoriali crescenti

In assenza di strumenti federali, le differenze fra Nord e Sud Europa — in produttività, salari, occupazione, innovazione — aumentano invece di ridursi.


2 Dipendenza strategica dagli Stati Uniti

L’Europa importa ancora:

  • sicurezza (NATO),

  • tecnologia digitale (Big Tech americane),

  • infrastrutture finanziarie (Visa, Mastercard),

  • energia (GNL dagli USA dopo la fine del gas russo).

Queste dipendenze sono incompatibili con l’ambizione di diventare un attore geopolitico autonomo.


3 Vulnerabilità alle crisi

La pandemia ha costretto l’Europa a improvvisare strumenti (come il Next Generation EU) che avrebbero dovuto far parte di un sistema stabile.


4 Frustrazione dei cittadini

La percezione di un’Europa forte quando impone regole e debole quando dovrebbe proteggere deriva proprio da questa ambiguità strutturale.

 

5. Il nodo nascosto: la sovranità finanziaria e i circuiti di pagamento

Un dato quasi sconosciuto all’opinione pubblica: oltre l’80% dei pagamenti elettronici europei passa su circuiti statunitensi (Visa e Mastercard)[1]. Questo significa che:

  • dati sensibili dei cittadini europei transitano in un contesto giuridico esterno all’UE;

  • una parte rilevante delle commissioni prospettiche finisce negli USA;

  • l’Europa non controlla un’infrastruttura strategica della sua economia;

  • in una crisi geopolitica potrebbe non disporre pienamente dei propri strumenti di pagamento.

Il tentativo europeo (EPI – European Payments Initiative) è fallito nel 2020 per rivalità tra Stati e banche nazionali. È la dimostrazione di una verità elementare: senza integrazione politica non esiste autonomia tecnologica né finanziaria. Draghi, nel Rapporto del 2024, ha ribadito che L’Europa non può competere senza infrastrutture finanziarie e tecnologiche integrate. La frammentazione attuale non è più sostenibile. Questi dati sono ampiamente riconosciuti nella letteratura economica e nelle analisi della Commissione Europea..

 

6. L’Unione Bancaria incompleta: un altro cantiere fermo

L’Unione Bancaria doveva fondarsi su tre pilastri:

  1. Supervisione unica (incardinata nella BCE) → realizzata.

  2. Meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie → realizzato.

  3. Garanzia europea dei depositi → mai realizzata.

Sapete per quale ragione questo non è avvenuto finora? Perché gli Stati non si fidano gli uni degli altri. L’assenza di una garanzia europea dei depositi non dipende da ‘sfiducia morale’ tra Stati, ma da un’architettura incompleta: senza una vera unione fiscale, ogni paese resta responsabile del proprio sistema bancario, impedendo la condivisione dei rischi. È un limite strutturale, non caratteriale.

Sia ben chiaro che la condivisione dei rischi non è un favore dei paesi ‘virtuosi’ a quelli ritenuti ‘fragili’, ma il prezzo necessario per avere una moneta unica che funzioni. Senza un meccanismo comune di stabilizzazione, l’euro produrrebbe divergenze tali da mettere a rischio anche gli Stati che oggi beneficiano maggiormente di questa architettura. Eppure, senza una garanzia comune dei depositi:

  • i risparmi non sono protetti in modo uniforme,

  • gli investimenti si spostano verso i paesi considerati più sicuri,

  • il mercato interno rimane frammentato,

  • l’eurozona resta instabile.

Un’unione monetaria senza unione bancaria è un edificio senza fondamenta.

 

7. Che cosa dovrebbe fare l’Europa oggi (in concreto)

a. Creare un Tesoro europeo. Con potere fiscale, capacità di emettere debito comune e strumenti stabilizzanti.

b. Aumentare il bilancio dell’UE al 5–10% del PIL. Lo standard delle federazioni mature.

c. Rendere strutturale il debito comune. Il Next Generation EU non deve essere un’eccezione.

d. Completare l’Unione Bancaria. Inclusa la garanzia europea dei depositi.

e. Creare un circuito europeo di pagamenti. Autonomo, interoperabile, sicuro, non dipendente da legislazioni esterne.

f. Integrare i mercati dei capitali. Per impedire che il risparmio europeo continui a finanziare l’innovazione… fuori dall’Europa.

g. Integrare gradualmente i Paesi non euro. Con criteri di convergenza reale, non puramente nominale.

Il fatto che l’Unione Europea sia incompleta non è, quindi, una ragione per smontarla, ma per completarla. Nessuna federazione è nata perfetta: né gli Stati Uniti (che vissero 80 anni senza banca centrale), né la Svizzera (che unificò le valute nel 1907), né la Germania (che completò il proprio federalismo fiscale solo nel dopoguerra). La UE è un processo, non un edificio finito.

 

8. Conclusione: la vera scelta dell’Europa

L’Europa è di fronte a un bivio:

  • restare una costruzione incompiuta, vulnerabile, intergovernativa, dipendente da altre potenze;

  • oppure completare il progetto iniziato a Maastricht, diventando una Federazione dei Popoli Europei capace di esercitare sovranità economica, politica e finanziaria.

Ancora una volta, la causa dei ritardi europei non è Bruxelles, ma il potere di veto dei governi nazionali. Il problema non è ‘troppa Europa’, ma la mancanza di una vera Federazione capace di agire. Peraltro, una Federazione europea non sarebbe un punto di arrivo, ma un processo aperto. La sua forza risiederebbe nella capacità di diventare un modello, non una fortezza: un polo di attrazione per altri popoli e Stati che aspirano a un ordine mondiale multipolare, cooperativo e non dominato da imperialismi vecchi o nuovi. La sovranità europea non è un’utopia. È una necessità storica.

Infine, la diversità non è un ostacolo, come molti affermano senza argomentazioni: la Svizzera unisce quattro popoli e quattro lingue; gli Stati Uniti nacquero con profonde differenze economiche e culturali; la Germania federale integra Länder con storie statali completamente diverse. Le federazioni servono proprio a governare la diversità, non a eliminarla.

Sembra un sogno irrealistico solo perché non l’abbiamo ancora costruito: ma era considerato irrealistico anche l’euro, Schengen, il mercato unico, la fine delle frontiere interne. Ogni conquista è stata chiamata ‘utopia’ prima di diventare realtà. Chiedetevi però per quale ragione USA, Russia e Cina oggi più che mai contrari all'integrazione europea.


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[1] Stima ampiamente riportata in letteratura e nelle analisi della Commissione Europea sul mercato dei pagamenti digitali (Payment Services Market Review, 2023).

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