Il contributo principale del Manifesto di Ventotene è stato quello di chiarire molto bene che il discrimine tra conservazione e progresso non poteva più passare attraverso la classica distinzione tra destra e sinistra (avete letto bene?), ma doveva, piuttosto, configurarsi come differenziazione tra la capacità e la volontà di fare scelte politiche antagoniste: o nazionali o più ampie (Pinto, 1991) [1].
Questa premessa, ancora oggi, è totalmente assente nel dibattito politico che continua strenuamente a rimanere "chiuso" proprio nella gabbia della sopracitata dicotomia destra/sinistra, l'unica considerata possibile da chi si riconosce sia nell'una che nell'altra parte. Se poi qualcun@ prova a esprimere un pensiero distinto (io non sono di destra né di sinistra) ecco che viene tacciato automaticamente di appartenere all'altra parte. Di norma sono quelli di sinistra che di fronte alla precisazione di prima attribuiscono all'altr@ di essere di destra ma questo è solo un dettaglio, espressivo, tuttavia, dell'incapacità di pensarsi e di pensare al di fuori di questo schema che tanti danni, a mio modesto avviso, finora ha prodotto, in Sardegna in modo particolare ma più in generale anche in Italia.
Al di là di questa essenziale premessa per il ragionamento che intendo proporre, trovo utile nel lavoro di Rosario Pinto, la sua analisi del processo evolutivo del pensiero federalista, che distingue tre seguenti fasi, almeno fino alla data del 1991, anno a cui risale l'articolo che cito. In particolare egli ha individuato le seguenti:
– la prima, che "va dal pensiero kantiano fino alla prima guerra mondiale e produce uno sviluppo complessivo, teorico della dottrina federalista, col concorso di contributi ampi e dilatati di pensiero in cui confluiscono apporti provenienti da aree culturali non necessariamente omogenee, anzi, spessissimo contrapposte (Saint-Simon, Proudhon, Mazzini, Cattaneo, Gioberti, ecc.). Esso è preceduto da una preistoria illuministica di orientamento federalista (Leibniz, Abbé de Saint-Pierre, ecc.)";
– la seconda, che "copre l’arco di tempo tra la prima e la seconda guerra mondiale", ha invece "carattere diplomatico, mira, cioè, a costruire un percorso politico spendibile a livello delle relazioni tra gli Stati, e vede impegnate personalità che finalizzano la propria lunga esperienza non all’elaborazione d’un progetto astratto, ma alla costruzione di tasselli concretamente utilizzabili per un nuovo politico (Lothian, Briand, Coudenhove-Kalergi, ecc.)";
– la terza, definita politica, "nasce già durante la seconda guerra mondiale e propone, col Manifesto di Ventotene, una svolta logica al federalismo, facendolo uscire dalle strettoie teoretiche e diplomatiche delle due fasi precedenti". Il Manifesto introduce la dimensione"politica, sollecitando il coinvolgimento popolare nella costruzione di nuove istituzioni sovranazionali".
Questa analisi, come ho già sottolineato, è datata 1991 e da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Con molta modestia, infatti, vorrei osservare che è giunto il tempo di dare seguito a una nuova e più proficua quarta fase, che definirei quella del "federalismo sistemico" che, a partire dai contributi di colui con il quale preparai la mia tesi di laurea (il prof. Giuseppe Usai), oggi preme affinché il pensiero e il processo federalista non siano visti solo in termini "aggregativi", dagli stati nazionali alle federazioni di stati fino a una federazione mondiale ma, partendo proprio dal metodo sistemico, da un lato, e dall'esperienza propria di altre entità organizzative come le imprese, dall'altro, evolva verso istituzioni di tipo "reticolari" caratterizzate da una ridefinizione dei poteri e delle competenze non solo in termini "aggregativi" (verso l'alto) ma anche "disaggregativi" (verso il basso), avendo come meta quella dell'organizzazione efficiente, cosa che può avvenire non centralizzando tutto il centralizzabile (come avviene in Italia) ma distribuendo il potere in senso verticale (partendo dai quartieri per arrivare fino al mondo) oltre che orizzontale (esecutivo, legislativo, giudiziario), e responsabilizzando ogni singola entità, a iniziare dalle singole persone e dai loro aggregati ai livelli più vicini al cittadino (secondo il principio di sussidiarietà).
Tutto ciò non è utopico se il disegno è chiaro e per me lo è da molto tempo. Questa visione e il conseguente disegno necessita però di valori e conoscenze, oltre che il rifiuto dei dogmatismi di stato propri delle tradizionali ideologie. Ecco perchè a me i panni di destra e sinistra non mi si possono confacère. Sono modelli politici vecchi e stantii, impediscono ogni forma di evoluzione, sono un modo per rimestare la stessa minestra e non cambiare nulla, favorendo, in questo modo, la cristallizzazione del potere in capo a chi in tutto questo ci marcia, con il risultato, sotto gli occhi di tutti, di vedere decadere progressivamente questo stato e i suoi servizi: sanità, trasporti, agricoltura, ecc..
Per essere ancora più esplicito, anche chi oggi, illuminato sulla "via di Damasco", riconosce che una certa politica di sinistra debba ripensare il ruolo dell'autonomia e non rigettare a priori il pensiero indipendentista, sviluppa il ragionamento entro i limiti definiti in precedenza: della dicotomia destra-sinistra da un lato e dello stato nazionale dall'altro, mai messo in discussione.
Quel che voglio affermare è che la prospettiva federalista (che ricomprende il processo indipendentista secondo la visione di Antoni Simon Mossa) non può essere ricompresa nella dicotomia destra/sinistra perchè sia sul piano dei valori che su quello dell'organizzazione concreta, ne rappresenta il superamento sia in chiave storica che in termini di decisioni e azioni da porre in campo per costruire una società più equa, più libera, più a misura delle aspettative di ogni essere umano che voglia vivere con dignità per sé e per gli altri che costituiscono il suo mondo.
Insomma, per quanto mi riguarda solo il federalismo sistemico rappresenta la linea lungo la quale poter costruire qualcosa di buono per il futuro. Utilizzare altre ideologie tradizionali come destra e sinistra non porterà, come non ha portato, da nessuna parte. Anzi, esse sono un inganno storico e una gabbia per quanti, anche in buona fede, cercano di "rinverdire" quelle posizioni.
Da questa visione scaturiscono molte implicazioni. Ne cito alcune:
- occorre rivedere la costituzione italiana in chiave sistemica, considerando il livello attuale dello stato come uno dei possibili livelli istituzionali di una architettura di tipo reticolare, almeno in una prima fase;
- così come nelle relazioni sociali l'istituto del divorzio permette a persone che non stanno più bene insieme di percorrere, liberamente e con reciproca soddisfazione, altri percorsi, anche nelle relazioni istituzionali dovrebbe essere permessa la medesima libertà, altrimenti è come stare dentro una prigione perchè costretto a stare dentro uno schema (istituzionale) nel quale non ti riconosci e che ti crea solo problemi (si pensi per esempio alla colonizzazione legata alla transizione energetica imposta dal governo italiano a regioni come la Sardegna). Di questo, tra l'altro, i partiti che sono dentro l'istituzione regionale non dicono nulla e lasciano, nel silenzio più assoluto, che la colonizzazione possa svolgersi senza difficoltà;
- occorre di conseguenza rivedere la legge costituzionale con la quale ha avuto origine la Regione Autonoma della Sardegna. Lo Statuto di autonomia deve essere pensato in chiave sistemica e non subalterna tra chi si considera detentore del potere e chi, per grazia ricevuta, ottiene alcune deleghe. Il principio della pari dignità istituzionale, nei fatti negato, dovrebbe essere alla base dei rapporti tra livelli differenti;
- occorre rivedere la legge elettorale per l'elezione dei "consiglieri regionali", che esclude ampie fasce di popolazione poiché non inquadrate all'interno degli schemi di cui sopra che, lo ribadisco, sono i "dogmi" laici cui il pensiero conservatore non permette la modifica;
- sul piano del pensiero filosofico politico "il federalismo ... alimenta un nuovo tipo di comportamento politico". Esso "ha un rapporto critico con le ideologie tradizionali", "non si contrappone al liberalismo, alla democrazia e al socialismo". Al contrario, esso afferma che "i grandi valori della libertà, dell'uguaglianza politica, della giustizia sociale non possono valere solo per i cittadini di uno stato nazionale". Infatti, accettando la limitazione dello stato nazionale "hanno implicitamente subordinato i loro ideali alla ragion di stato, sino al brutale tradimento, con la prima e seconda guerra mondiale, della solidarietà internazionale che univa i liberali, i democratici e i socialisti di tutti i paesi" [2].
Se poi a qualcuno viene difficile capire ciò che scrivo o immaginare come si possa costruire questa architettura non ha che da chiedere. Sono disposto a fare anche i disegnini e non lo dico per schernire qualcuno ma solo per provare a scuotere dal torpore chi è dogmaticamente arroccato nelle ideologie con cui è stato "indottrinato", anche in buona fede, nel proprio percorso formativo e non ha avuto possibilità di confrontarsi con altri punti di vista.
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A seguito di qualche considerazione critica fatta da un amico voglio precisare che questo articolo è rivolto a tutti coloro che hanno interesse e a cuore le sorti di questa terra e di questo popolo. I destinatari sono per me tutti i sardi che, abbandonando eventuali gabbie cognitive che spesso derivano dalle ideologie di provenienza, facciano uno sforzo di pensiero per valutare le proposte contenute in questo scritto in termini di maggiore rispondenza alle attuali esigenze del popolo sardo e non di perfetta aderenza con le ideologie di provenienza.
[2] Le citazioni tra virgolette sono tratte da Schede sul federalismo - n. 1 - Il federalismo. A cura del Movimento Federalista Europeo. Istituto di Studi Federalisti "Altiero Spinelli". Pavia, Novembre 1994.
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