Questo è il noto e fortunato claim pubblicitario della Apple: “pensa differente”, l’invito cioè a uscire dagli schemi consueti, a innovare, continuamente e senza soluzione di continuità.
Tanti usano richiamarlo ma, per la verità, non posso non osservare, tristemente, che pochi lo praticano. La verità è che i comportamenti ricorrenti sono ispirati alla replica di ciò che in Sardegna esprimiamo con “su connotu”, il conosciuto.
Eppure, la prima implicazione di questo breve ma efficace invito è che se non si rompe con gli schemi consolidati non c’è innovazione. Come si può pensare di risolvere problemi finora irrisolti ripercorrendo, pedissequamente, sentieri già battuti?
A parole si dice di voler cambiare ma poi se provi a mettere in discussione alcuni dogmi, apriti cielo. Se ti va bene vieni ignorato, se ti va male vieni insultato o tacciato di vivere in un mondo parallelo, magari ideale, ma esistente solo nella tua testa incapace di adattarsi alla realtà.
Chi per natura si discosta da questo modo di fare è la figura del ricercatore, colui che fa del dubbio la ragione stessa della sua esistenza, di chi si interroga di continuo sulla validità di ciò che è stato fatto fino al giorno prima. Esempi del pensiero differente sono stati Martin Luther King, John Lennon, Steve Jobs, Albert Einstein, il Dalai Lama, Papa Francesco, Nelson Mandela, Antonio Gramsci, Antoni Simon Mossa, Giovanni Battista Tuveri, e tantissimi altri che la storia ci ha consegnato. Ma cosa abbiamo imparato da costoro? Sembra nulla. Solo materiali per ricercatori e studiosi che non cambiano però le coscienze, visto che poi mandiamo i peggiori a governarci.
È incredibile, invece, osservare come usciti dal campo della ricerca si cada nel dogmatismo a tutti i livelli. E finché sono le religioni a stabilire dogmi, poco male. È il loro modo di affermarsi nel mondo ma poi vedi che anche persone che si definiscono laiche, non lo sono affatto. Sono sacerdoti ortodossi di una religione materialista basata, per esempio, sulla inviolabilità dei confini statali, sulla considerazione dello stato come l’alfa e l’omega per la valutazione di ogni decisione, ecc.
In Italia questo dogmatismo è esasperato all’ennesima potenza, soprattutto ora che al governo c’è una persona che rappresenta il partito che più di altri ha ideologizzato il dogma dello stato e della triade Dio-Patria-Famiglia. Un obbrobrio per chi ha un minimo di capacità di intendere e di volere. Eppure, i proseliti dei fedeli di questa “religione” laica che mischia questioni giuridiche con altre etiche e religiose crescono e sembra che non ci sia un limite. Il risultato è che tutto ciò che sta dentro il confine dello stato deve essere omologato, ogni diversità va cancellata, a partire dal non riconoscimento delle stesse (basti pensare all'ozioso ripetersi della nazione italiana quando in Italia le nazionalità territoriali e linguistiche sono molteplici); di converso, tutto ciò che sta fuori dallo stato è un potenziale nemico del famigerato “interesse nazionale” (sic!). Una ragione sufficiente per considerare nemica, per esempio l'Unione europea di cui l'Italia è Paese fondatore. Si continua a vendere questa bugia intergalattica come verità e la gente ci crede. Lo hanno fatto i predecessori della Meloni ma lei ci riesce più e meglio degli altri, proprio per ragioni intrinsecamente ideologiche.
Siamo al delirio assoluto e nessuno batte ciglio. Anzi. Quando si vuole avversare queste posizioni che con la razionalità e, soprattutto, con la speculazione scientifica non hanno nulla a che vedere, lo si fa con argomenti deboli e inconcludenti, perché alla fine, sia ben chiaro, anche chi è dentro altre formazioni ideologiche e partitiche condivide, seppure con tratti differenti, le stesse motivazioni di fondo. Alla faccia della multidimensionalità, della contestualità e della dinamicità dell'identità ecco che i sacerdoti dello stato italiano proclamano il verbo dello stato unitario, unico e indivisibile, quello per il quale si può mandare a morire giovani innocenti che vorrebbero solo lavorare e avere uno stipendio (a parte gli esaltati rambo che si vedono solo in mimetica e bazooka).
Le domande però sono: possiamo modificare il mindset ricorrente che sta portando la società e l’umanità tutta verso il declino se non anche verso la propria autodistruzione? E se sì, come?
Sarebbero importanti i mezzi di informazione ma anche questi sono nelle mani di chi detiene il potere. Purtroppo. E la gran parte fa da cassa di risonanza a questo pensiero deviato e stabile nel tempo.
Personalmente, mi sento dissociato da questa realtà. Eppure, ho gli strumenti cognitivi per dimostrare ciò che scrivo, per argomentare intorno alla follia che sta dietro questi comportamenti ricorrenti e sbagliati. L’ho scritto, lo scrivo e continuo a ripeterlo ma sembra che dall’altra parte ci sia chi proprio non riesce a capire. O forse sono io che non riesco a spiegarmi? Eppure, se c’è una qualità che mi si riconosce è quella di rendere comprensibili anche gli argomenti più complessi. Lo dico con umiltà ma con la consapevolezza di chi si è abbeverato a fonti di “giganti” illuminati sulle cui spalle mi sono appoggiato e mi appoggio.
In questa breve riflessione c’è da un lato la frustrazione di non riuscire a essere più efficace di quanto vorrei essere e, dall’altro, la consapevolezza che devo insistere, che ho il dovere di non lasciare nulla di intentato per provare a portare il mio granello di sabbia per migliorare il contesto in cui vivo, per scuotere le coscienze della gente, di tutta la gente, a iniziare dal popolo al quale appartengo, quello sardo.
Per farlo, tuttavia, devo riuscire a farmi leggere, a farmi ascoltare, a porre in dubbio le certezze di quei presuntuosi che oggi detengono il potere ignominiosamente, tronfi delle loro ricorrenti e inutili vacue parole.
Ebbene, se ci fosse qualche cervello desideroso di praticare il pensiero differente, dovrebbe, prima di tutto e soprattutto, iniziare a mettere in discussione il concetto di “Stato”. In esso si annidano tutti i veleni di un pensiero distorto, quello che poi è alla base delle guerre, del mancato rispetto delle diversità, della scarsa tolleranza verso il pensiero differente.
Grazie Andrea.
Condividendo e sottoscrivendo sostanzialmente ogni punto toccato nell'articolo, aggiungo il mio personalissimo granello alla causa: purtroppo di sardi (sardi non significa solo nascere in Sardegna ed avere un cognome evidentemente sardo, ma avere la consapevolezza di esserlo) che, come Lei, portano avanti un giusto pensiero senza riuscire a farsi "ascoltare" in maniera capillare, ce ne sono tanti. Purtroppo e per fortuna, ovviamente. Tale scarsità di coinvolgimento non è da imputarsi alla mancanza di argomenti validi e/o di qualità dell'esposizione degli stessi, ma alla copertura e diffusione mediatica che si riesce (o meno) a raggiungere.
Ancora oggi, volenti o nolenti, l'abitudine a guardare la televisione (italiana o italianizzata nei livelli "regionali") è ancora in auge e, a mio avviso, costituisce il…