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Unità e diversità della condizione umana

Il contributo di Edgar Morin

Edgar Morin nel sua opera "Penser global. L'homme et son universes" (tradotto in italiano col titolo "7 lezioni sul pensiero globale", ricorda a tutti noi la necessità di costruire un "nuovo umanesimo" a patto che venga superato l'approccio epistemologico occidentale "basato sulla separazione e separabilità radicali fra ciò che è umano e ciò che è naturale", come ben sottolinea Mauro Ceruti nella Prefazione del libro.



Questa propensione a separare è all'origine dell'incapacità di gestire la complessità, semplificata e, per ciò stesso, male interpretata e malversata. Esempi di questa propensione li troviamo in diversi campi. Il primo che mi viene alla mente è quello in cui opero, la ricerca, laddove, soprattutto in Italia si è proceduto a separare la scienza in aree disciplinari e, successivamente, in settori disciplinari. Nella organizzazione della didattica si è operato nello stesso modo, frammentando il sapere con il risultato di perdere le connessioni e le influenze reciproche, le quali non è che scompaiono, semplicemente non vengono viste e, quindi, vengono annientate.

Nondimeno, si pensi all'organizzazione dello stato e delle sue diverse articolazioni: in astratto il Governo di un paese agisce in modo unitario ma sappiamo bene che poi i singoli ministri operano in modo spesso separato l'uno dall'altro. Se si scende di livello istituzionale e si considerano le regioni il discorso si fa ancora più sconcertante: ogni assessorato è una sorta di repubblica autonoma dove non è ammesso mettere bocca a chi ha responsabilità altre.

Molteplici sono gli esempi che danno conto di una realtà in cui si perde di vista "l'unità dell'uomo", circostanza che induce Morin ad affermare la necessità di una nuova alleanza tra scienza dell'uomo e scienza della natura. Ecco quindi che si mette in questo modo in discussione la visione antropocentrica dell'universo per proporre, correttamente, una nuova visione, di tipo eco-centrica.

Nel criticare l'antico umanesimo Morin osserva come esso fosse solo ideale e culturale mentre quello nuovo, che lui definisce "umanesimo planetario", sarà prodotto da un universalismo reso concreto dalla "comunità di destino che lega ormai tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta, e l'umanità intera all'ecosistema globale e alla Terra" (Ceruti, p. XII).

Chi, tra i lettori di questo blog, è arrivato fino a questo punto si starà domandando, se ha letto l'altra riflessione intitolata "L'identità come funzione di confine", se per caso sto dando i numeri visto che in quel documento ponevo la necessità di riconoscimento della sardità come identità, ancorché in un ragionamento nel quale l'identità è l'espressione dell'applicazione di un principio che è alla base della teoria dei sistemi, quello del confine o, per meglio dire, dei confini.

Voglio rassicurare i lettori che non c'è contraddizione, proprio perché nella moltitudine di confini già in quel brano mi definivo "appartenente al genere umano, seppure di nazionalità sarda".

Questo concetto trova conferma anche nella visione di Morin il quale sente il bisogno di specificare che, per usare sempre le parole di Ceruti, "Questo universalismo concreto non oppone la diversità all'unità, il singolare all'universale. Si basa sul riconoscimento dell'unità nelle diversità umane e delle diversità nell'unità umana".

Non solo ma per Morin, la visione eco-centrica implica che ci debba essere il riconoscimento dell'unità dell'ecosistema globale entro la diversità degli ecosistemi locali e della diversità degli ecosistemi locali nell'unità dell'ecosistema globale.


Implicazioni cognitive, affettive e comportamentali

Quanto sopra indicato, se condiviso dovrebbe trovare riscontro in un processo di apprendimento di ciascun individuo appartenente al genere umano e, di conseguenza, in un cambiamento del proprio modo di pensare (dimensione cognitiva), nel modo di relazionarci a tutti gli esseri viventi e non viventi (dimensione affettiva), nel modo di comportarci rispetto a questi esseri, quindi verso la Terra considerata come unità.

Vorrei precisare che questo processo di apprendimento dovrebbe incidere, inizialmente, sul modo di comprendere cosa è giusto e cosa è sbagliato, dal momento che quanto sopra indicato non è neutrale affatto rispetto al nostro modo di pensare, di relazionarci e di comportarci.



Ancora una volta qualche esempio può aiutare a capire il ragionamento proposto.

Pensate al tema della foresta amazzonica. Ebbene, sulla base di quell'umanesimo antico basato sulla separazione e sulla separabilità trovano spiegazione le posizioni di personaggi come Bolsonaro che rivendica al solo Brasile il diritto di decisione su quella parte del mondo. Va da sé, invece, che la visione proposta da Morin ci dice che ogni ecosistema locale va visto all'interno dell'unitario eco-sistema globale e, di conseguenza, siamo tutti interessati a quell'ecosistema e tutti avremmo il diritto di poter influire sulle decisioni che riguardano quel pezzo di mondo. Difficile da accettare questo principio, vero?

Eppure non dovrebbe essere difficile da comprendere dal momento che l'idea di decidere su quella parte di mondo è connessa col timore che essa venga, come sta avvenendo, progressivamente distrutta, per ragioni che vanno contro la sostenibilità del pianeta.

Altra cosa, al contrario, è per me la situazione in cui ci si arroga il diritto di considerare una parte di mondo, piccola o grande che sia, come pattumiera per scorie nucleari, per esercitazioni militari distruttive, ecc..

Quest'ultima precisazione dovrebbe tranquillizzare quei lettori che usano il confine in modo univoco ed esclusivo, che pensano a un mondo di sole indipendenze, senza interdipendenze e inter-indipendenze. Quindi, bisogna scegliere: stiamo dalla parte di personaggi come Bolsonaro o stiamo dalla parte di Morin?

Ecco, seguendo questo ragionamento, non solo sul piano cognitivo si dovrebbe dissentire dalle posizioni di Bolsonaro ma non ci si dovrebbe affezionare solo perché porta avanti idee che in parte coincidono con quelle di qualcun altro e, di conseguenza, anche i comportamento dovrebbero essere conseguenti.


Quale soluzione politico-istituzionale per governare la complessità?

Orbene, è evidente che tutto il ragionamento di cui sopra pone il problema dell'organizzazione politico-istituzionale. L'umanesimo tradizionale, quello della separazione e della separabilità, ha prodotto gli stati nazionali di ottocentesca memoria, ognuno sovrano totalmente al proprio interno. Alcuni di questi nati attraverso operazioni di prevaricazione di altre diversità (l'Italia, in tal senso, purtroppo, è uno degli esempi peggiori che si possa trovare nella realtà). Nel secondo dopoguerra, tuttavia, abbiamo assistito a un leggero cambio di prospettiva che hanno portato a forme di cooperazione tra popoli appartenenti a Stati sovrani differenti: il caso più importante è rappresentato certamente dall'Unione europea che, pur con tutte le contraddizioni cresciute soprattutto negli ultimi vent'anni, ha posto fine, almeno finora, alle lotte intestine che, ribadisco, abbiamo sperimentato fino a quasi la metà del secolo scorso.

Abbiamo visto, però, che non basta, che anche questo processo, nel corso del tempo ha perso parte dello spirito iniziale che aveva nella costruzione di un contesto di pace la ragione fondamentale della sua nascita e della sua esistenza.



Quel che serve, seguendo il ragionamento di Morin, è un sistema di istituzioni che possano rappresentare l'unità nella diversità e la diversità nell'unità. Al mondo, finora, questa soluzione giuridico-politico-istituzionale si chiama "stato federale", la cui applicazione dovrebbe valere sia verso il basso (dagli attuali stati nazionali verso organizzazioni più piccole), sia verso l'alto a beneficio di istituzioni sovranazionali e sovra statali.

Nel concreto, questo significherebbe, per esempio, che l'Italia così com'è non va bene, essa è frutto di quella visione antropocentrica in cui una parte dominatrice impone alle altre il proprio potere e la propria visione del mondo a una eco-centrica in cui, per esempio, tutte le Nazioni in essa presente possano riappropriarsi del diritto di decidere sulle materie di esclusiva competenza. Analogamente l'Italia che già ha ceduto alcune sovranità all'Unione europea, in tema di moneta, per esempio, dovrebbe poterne cedere altre se considerate meritevoli di trattamento unitario in tale ambito.

Nondimeno, si pone il problema a livello planetario. Abbiamo bisogno di un governo del mondo, per evitare le guerre e per gestire problemi come il cambiamento climatico e le pandemie come ha dimostrato la vicenda nella qual ancora ci troviamo inseriti. Urge pertanto ridiscutere l'ONU, quale embrione, molto sui generis, di sede in cui sono rappresentati tutti i popoli del mondo. Sotto questo profilo, preciso subito che secondo me in quell'ambito dovrebbero essere rappresentati non i singoli stati ma le aggregazioni continentali degli stessi. Per esempio, anche considerando l'attuale organizzazione, nel Consiglio di sicurezza, ci dovrebbe essere l'UE, non la Francia, visto che gli UK sono usciti dalla stessa.

Concludo precisando che ho ben presenti le difficoltà di un processo di questo tipo e i "veti" di chi nella situazione attuale gode di rendite di posizione alle quali non si vuole rinunciare, ma sarebbe auspicabile che ognuno riflettesse non in base a schieramenti di partito o di ideologie che provengono sempre da quel vecchio paradigma. In fondo l'uomo ha saputo dimostrare di essere in grado di produrre tante cose positive, nonostante oggi si viva in un tempo malato e sembrano prevalere (almeno così è al momento) i comportamenti auto-distruttivi. Dopo la riflessione, sarebbe anche auspicabile che si trovasse il coraggio di abbandonare i vecchi paradigmi di cui si si lamenta ma che alla fine si concorre a perpetrare come se nulla fosse accaduto



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